Oggi vogliamo celebrare l’ottavo anniversario di una delle più grandi imprese sportive della storia realizzate da un atleta italiano. Il 27 luglio 2014 Vincenzo Nibali, ciclista del team Astana, vinse, anzi stravinse, ufficialmente la centunesima edizione del Tour de France, l’avvenimento sportivo annuale più seguito al mondo. Sbaragliò la concorrenza, infliggendo agli avversari distacchi che non si vedevano da trent’anni. Conquistò quattro tappe, vinse in montagna su Vosgi, Alpi e Pirenei, si dimostrò semplicemente il più forte su ogni terreno: solido a cronometro, sicuro in discesa, irresistibile in salita, intelligente nella gestione del primato.
Una vittoria costruita e cercata fin dalle primissime tappe: già alla seconda, memorabile, a Sheffield, lo “Squalo dello Stretto” trionfò con un’azione da finisseur, sorprendendo i suoi due avversari più accreditati, Froome e Contador, di nuovo battuti e staccati nella quinta frazione sul pavé della Roubaix, prima che si ritirassero causa cadute. Con 19 maglie gialle indossate, eguagliò leggende come Coppi e Gimondi.
Al di là dei numeri, entusiasmò l’Italia intera, che è salita con lui sul podio dei Campi Elisi e che si è sentita fiera e orgogliosa di questo ragazzo di Messina. Riscattò tutto il nostro movimento ciclistico, dato già allora frettolosamente per defunto dopo alcuni anni di insuccessi. Soprattutto riportò il ciclismo sulle prime pagine dei giornali, non solo di quelli sportivi, come non accadeva dai tempi di Marco Pantani.
Non un exploit improvviso e isolato quello di Nibali, ma un trionfo realizzato con sacrificio e sudore, passo dopo passo, miglioramento dopo miglioramento. Salito su una bicicletta per la prima volta all’età di 5 anni, Vincenzo a 14 si è trasferito dalla Sicilia in Toscana per inseguire il sogno di diventare un ciclista professionista. Raggiunto questo traguardo, per diversi anni nel ruolo di fedele gregario si è messo umilmente al servizio dei capitani di turno, Ivan Basso tra tutti. Ha carpito i loro segreti, ne ha studiato i movimenti in corsa e, ben presto, l’allievo ha superato i maestri.
Ha tratto prezioso insegnamento dagli errori di inizio carriera, quando sbagliava i tempi degli attacchi e buttava alle ortiche vittorie per troppa generosità. Il suo è stato un crescendo rossiniano: nel 2010 la vittoria della Vuelta a Espana; nel 2013 primo al Giro; nel 2014 la conquista del Tour che l’ha consacrato campione. A soli 29 anni diventò il sesto corridore nella storia del ciclismo ad aver vinto tutti e tre i grandi giri.
Un antidivo Nibali, senza vezzi e capricci. Un leader silenzioso, un condottiero amato dai compagni delle squadre in cui ha militato. Squadre che ha sempre difeso a spada tratta anche quando non sono state in grado di supportarlo al meglio. Grande serenità nonostante le pressioni, mai una lamentela. Sempre disponibile con la stampa e i tifosi, tutt’altra cosa rispetto a Wiggins e Froome, vincitori del Tour in quegli anni, poco avvezzi al contatto col pubblico, veloci appena conclusa la corsa a rifugiarsi sul pullman del team Sky con i vetri oscurati.
Noi di Storie all’Overtime ringrazieremo sempre Nibali per aver rifatto vivere agli appassionati di sport quelle emozioni già regalate da Marco Pantani con la vittoria del Tour nel 1998. Come dimenticare la mitica tappa di quel Giro di Francia conclusasi sul traguardo di Les Deux Alpes il 27 luglio 1998, esattamente 16 anni prima dell’arrivo vittorioso del siciliano a Parigi: in quell’occasione il “Pirata”, attardato in classifica generale, azzardò l’impossibile, fece ciò che era anche solo difficile da immaginare nel ciclismo moderno, compì un’impresa alla Coppi, da uomo solo al comando. In una giornata dal tempo inclemente, attaccò il tedesco Ullrich, leader della generale, non sull’ultima salita, ma sulla penultima, il Galibier, a 50 km dal traguardo col rischio di “saltare” e uscir fuori di classifica. Un solo scatto dei suoi bastò per far il vuoto alle spalle. Uno dopo l’altro, riprese e staccò tutti i corridori che lo precedevano mentre dietro di lui il ritardo degli uomini di classifica aumentava metro dopo metro, chilometro dopo chilometro. Arrivò primo al traguardo; rifilò addirittura 9 minuti a uno stravolto Ullrich, conquistando la maglia gialla, che indossò fino a Parigi, regalando all’Italia un successo che mancava dal 1965 con Felice Gimondi. In quel magico 1998 centrò la doppietta Giro-Tour, impresa straordinaria mai più riuscita a nessuno.
Il destino ha voluto che il trionfo di Nibali avvenisse a distanza di 10 anni dalla morte di Marco Pantani; che a impartire consigli dall’ammiraglia allo Squalo dello Stretto sia stato proprio Giuseppe Martinelli, direttore sportivo della Mercatone Uno nel 1998 e grande stratega del successo al Tour del Pirata. Uno dei pochi a non averlo mai abbandonato nemmeno nei giorni più tristi e drammatici. E ci piace pensare che con l’ultima “sinfonia”, l’impresa solitaria realizzata nel 2014 sull’Hautacam, Nibali abbia voluto riscattare la beffa subita da Pantani nel 1994 proprio su quella vetta ad opera di Luc Leblanc, in una sfida passata alla storia del ciclismo con un altro grande campione a far da terzo incomodo e protagonista, Miguel Indurain.
Foto copertina – nanopress.it