La strana storia di Vasilis Chadzipanagis, il “Maradona greco”. Una bandiera, suo malgrado

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Foto copertina – thesefootballtimes.co

Le bandiere nel calcio. Merce rara, sempre più rara. Giocatori che trascorrono tutta o comunque la parte più significativa della loro carriera indossando una sola casacca. Che rappresentano al meglio la storia di una squadra, di una società, scrivendone contemporaneamente nuove esaltanti pagine. Condividendo con i propri tifosi vittorie e sconfitte. Gioie e dolori.

Tra la bandiera e chi l’adora si crea un’osmosi, un rapporto di reciproca fiducia, un amore incondizionato. Che emerge e si manifesta in tutta la sua dirompente e struggente forza nel momento dell’addio: come dimenticare quel lungo, spontaneo e interminabile tributo dello Stadium ad Alessandro Del Piero con la partita Juventus – Atalanta ridotta a semplice cornice, con i festeggiamenti per lo scudetto ritrovato passati in secondo piano. E quante lacrime all’Olimpico durante gli ultimi atti delle straordinarie carriere giallorosse di Totti e De Rossi.

Si diventa bandiera e se ne incarna il ruolo per tante ragioni differenti: per amore, per un giuramento di fedeltà eterna, perché si raggiunge la consapevolezza di aver trovato il paradiso in terra. Altre volte perché non si ha la voglia, lo stimolo di intraprendere nuove avventure, il coraggio di rimettersi in gioco o ricominciare daccapo con squadre e in città diverse.

Ma può addirittura accadere di essere bandiera perché si è in qualche modo costretti ad esserlo. Fino in fondo. Fino alla fine. Anche se si vorrebbero fare nuove esperienze. Perché così hanno voluto il destino e gli Dei del pallone che si materializzano in clausole contrattuali e timori di rivolte. È l’incredibile storia di Vasilis Chadzipanagis, un autentico talento, a detta di molti il giocatore greco più forte di ogni tempo. Che però non ha – quasi – mai giocato in Nazionale ed è assolutamente sconosciuto anche a tantissimi appassionati di calcio. E non certo per colpa di un cognome non semplicissimo da memorizzare.

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Vasilis nasce il 26 ottobre 1954 e cresce in Uzbekistan, a quell’epoca Repubblica Socialista dell’URSS, dove i genitori, greci, si erano rifugiati come tanti altri esuli politici durante il periodo della Dittatura dei Colonelli. La passione del giovane per il calcio è dirompente. Grazie alle sue eccelse doti tecniche, cattura l’attenzione del Pakhtakor, club uzbeko che lo fa esordire a 17 anni, previa acquisizione della cittadinanza sovietica come richiesto dalla legge. Chadzipanagis gioca talmente bene da entrare a far parte della Nazionale olimpica sovietica con cui gioca 4 partite e realizza anche una rete. Considerato il miglior giovane talento dell’epoca insieme ad un certo Oleg Blokhin, il fenomeno della Dinamo Kiev che vincerà il Pallone d’Oro nel 1975.

In Grecia nel frattempo le cose cambiano. Il regime dei Colonnelli cade, si respirano aria nuova e desiderio ardente di democrazia e libertà, voglia di costruire una società migliore. Questo anelito suscita un’attrazione irresistibile in Vasilis. Che, ventunenne, ha fretta di tornare nella terra dei suoi genitori e si accasa all’Iraklis Salonicco. Tanta fretta da fargli firmare, secondo la vulgata, una serie di clausole che gli impediscono di cambiare squadra, malgrado le pressioni della Federazione sovietica che, come vedremo, non gli perdonerà la scelta di lasciare l’URSS. Nonostante l’Iraklis sia una società dalla fondazione antica ma dal presente sofferto, schiacciata dalla concorrenza spietata di Aris e Paok, le altre due squadre di Salonicco.

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Vasilis in azione con la maglia dell’Iraklis (pieria24.blogspot.com)

In campo Vasilis dà spettacolo, i tifosi gremiscono il Kaftanzoglio, lo stadio di casa, per ammirarlo. Diviene l’idolo assoluto dell’Iraklis. La corporatura robusta e funzionale al suo stile di gioco, i piedi fatati, il dribbling ubriacante, i capelli ricci e lunghi, il numero 10 sulle spalle, la maglia azzurra, una certa somiglianza fisica, gli fanno attribuire l’appellativo di “Maradona greco”.  Anche se altri preferiscono chiamarlo il “Nurayev del calcio – per via del passato sovietico – o semplicemente “il Mago”.

Durante la sua prima stagione, 1975/76, l’Iraklis conquista la Coppa di Grecia battendo ai rigori in finale il più quotato Olympiakos, dopo un rocambolesco 4-4 nei 120 minuti e una sua splendida doppietta. Sembra il primo di una lunga serie di trofei per Chadzipanagis. E invece no. Sarà il primo e anche l’ultimo della sua carriera. Eccezion fatta per la Coppa dei Balcani 1985, una competizione che coinvolgeva squadre di Albania, Bulgaria, Grecia, Romania, Turchia, Jugoslavia e poi abbandonata nel 1994.

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Le prestazioni di Vasilis nel frattempo non passano inosservate. Vogliono ingaggiarlo diverse formazioni. C’è l’interessamento concreto di club blasonati di mezza Europa come il Porto, l’Arsenal, lo Stoccarda. In Italia a provarci è la Lazio del presidente Lenzini. Ma le trattative, anche quando sembrano ben avviate e a un passo dal concludersi positivamente, saltano. C’è sempre un ostacolo, un inghippo, un ripensamento. La società di Salonicco arriva a rifiutare l’offerta del Panathinaikos ammontante a 90 milioni di dracme, una cifra monstre per l’epoca.

La verità è che l’Iraklis non ha mai avuto la seria intenzione di cedere il suo gioiello. Anche se economicamente l’operazione gli avrebbe giovato molto. Anche se la società non aveva alcuna ambizione di primeggiare in Grecia e Chadzipanagis rappresentava un lusso sprecato. Ha rifiutato ogni offerta per paura, per il timore della rivolta che i tifosi dell’Iraklis avrebbero scatenato dopo la notizia della cessione. Ricordate le vie di Firenze a ferro e fuoco dopo la vendita da parte dei Pontello di Roberto Baggio all’odiata Juventus il 18 maggio 1990? Ecco, bazzecole in confronto a quanto sarebbe potuto accadere a Salonicco, dove il calcio è una questione maledettamente importante, di pancia, di vita, dove gli stadi si accendono di passione, di colori, di torce, di tifo incandescente.

Morale della favola: Vasilis si dovrà accontentare per sempre di palcoscenici minori. Con la sua classe e il mancino funambolico per anni darà tutto sé stesso per l’Iraklis, ma sembrerà tanto un predicatore nel deserto. Non potrà mai sfoggiare il suo palleggio in stadi prestigiosi, giocare la Coppa dei Campioni, servire i suoi assist a grandi giocatori.

E di assist ne avrebbe avuti eccome da servire: queste alcune delle giocate migliori del Mago, di cui fortunatamente è rimasta traccia su Internet.

E svanisce presto anche un’altra grande speranza: giocare e farsi apprezzare con la Nazionale greca, partecipare ad Europei e Mondiali con quella maglia che tanto aveva sognato da ragazzino esiliato in Uzbekistan. Nel 1976 viene convocato e gioca un’amichevole contro la Polonia. Ma arriva la beffa atroce, la ripicca, l’esposto della Federazione sovietica, che chiede alla FIFA di non permettere più a Chadzipanagis di essere convocato con la nazionale greca, in quanto aveva già vestito la maglia dell’U21 sovietica. Esposto accolto, per il Maradona greco non c’è più alcuna possibilità di competere a livello internazionale.

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C’è anche una versione romantica e patriottica di tutta questa storia: che lo stesso Chadzipanagis abbia rifiutato trasferimenti all’estero per non abbandonare quella terra greca che con tanto entusiasmo aveva abbracciato dopo l’esilio dei suoi amati genitori. Ma è una versione che sembra essere smentita dalle stesse parole pronunciate durante un’intervista.

«Mi dispiace di non aver potuto indossare la maglia nazionale greca più di una volta. E mi dispiace non aver avuto una carriera all’estero. Mi sarebbe piaciuto giocare in un campionato migliore. Se potessi riportare indietro l’orologio, farei le cose in modo diverso».

A Salonicco e in tutta la Grecia Chadzipanagis resta tuttora un mito assoluto, sconosciuto al resto del mondo. Osannato come merita una grande bandiera. Una bandiera, suo malgrado.

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