Quando i tifosi degli Spurs cantarono «Argentina, Argentina»

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Nella storia del calcio ci sono episodi che rimangono scolpiti nella memoria collettiva a distanza di molti anni dal loro accadimento. E rivalità che non accennano ad attenuarsi e placarsi, restando accese e aspre nel tempo. In Inghilterra ad esempio gran parte dei sudditi di Sua Maestà ancora oggi non dimentica e non perdona quel gol segnato da Maradona con la “mano de Dios” allo Stadio Azteca di Città del Messico 36 anni fa, durante il quarto di finale della Coppa del Mondo 1986 Inghilterra-Argentina. E poco importa se a quella palese irregolarità, a quel gesto antisportivo, a quella rete realizzata con il pugno anticipando l’intervento in uscita del portiere britannico, seguì dopo una manciata di minuti “il gol del secolo”.

L’opera d’arte con cui Maradona segnò il 2-0, partendo dalla sua metà campo, percorrendo 60 metri in 10 secondi e 45 centesimi e saltando i giocatori inglesi come birilli fino a depositare il pallone in porta con un tocco morbido e rabbioso allo stesso tempo. Quella irregolarità, quel torto subito sono stati abbondantemente ricordati anche in occasione della morte del Pibe de Oro nel novembre 2020. E così, se il Guardian ha intitolato “Il mondo ha perso una leggenda” e il Times semplicemente “Adiòs Diego“, altri quotidiani britannici hanno rimarcato quel gol di mano, sottolineato quella scorrettezza. “Maradona è nelle mani di Dio” hanno titolato tabloid come il Daily Mirror, il Sun e il Daily Star, che ha anche sarcasticamente aggiunto: “Dov’era il Var quando ne avevamo più bisogno?”. E se alcuni calciatori inglesi protagonisti di quel match come Gary Lineker gli hanno reso omaggio – «È stato di gran lunga il miglior giocatore della mia generazione e probabilmente il più grande di tutti i tempi» – altri come il portiere Shilton, direttamente beffato da quel tocco di mano, sono stati meno benevoli: «Aveva grandezza, ma non sportività. Non si è mai scusato. Non ha mai ammesso di aver barato».

La copertina incriminata del Daily Star. (calcionapoli24.it)

Reazioni che vanno anche collocate nel contesto di una rivalità, quella tra Argentina e Inghilterra, non solo sportiva. Che travalica i campi di calcio. Che nasce quattro anni prima della partita di Città del Messico, nel 1982, quando i due Paesi si affrontarono in una breve ma sanguinosa campagna militare. Leopoldo Galtieri, presidente del Paese sudamericano succeduto al dittatore Videla, aveva inviato le proprie truppe a riprendere, dopo un secolo e mezzo di dominio britannico, il controllo delle Isole Falkland/Malvine. Per gli inglesi si trattò di un affronto imperdonabile, di un attacco alla sovranità nazionale, sebbene la maggior parte di loro non sapesse neanche lontanamente di “possedere” delle isole sperdute nell’Atlantico del Sud chiamate Falkland. La reazione di Margaret Thatcher non si fece attendere. E non fu soft. Le truppe britanniche in breve tempo si reimpossessarono dell’arcipelago, sbaragliando le forze argentine che piansero 649 vittime.

È in questo clima che si verifica un episodio in cui ancora una volta l’amore dei tifosi per la propria squadra, l’attaccamento alla maglia e ai propri colori si rivelano più forti della politica, dei nazionalismi, dei conflitti. Esattamente 40 anni fa, il 3 aprile 1982, al Villa Park di Birmingham si disputava la semifinale di FA Cup tra Leicester e Tottenham. Nella squadra londinese, tra gli Spurs, giocava l’argentino Osvaldo Ardiles, metronomo di centrocampo, regista lucido, elegante e ordinato, dai piedi buoni. Ma che all’occorrenza non toglieva la gamba. Ardiles aveva trascorso la notte della vigilia al telefono con i suoi familiari in Argentina, per capire come stesse evolvendo la situazione, la guerra. Lui stesso era sotto scorta in Inghilterra. Era fortemente provato, il suo stato d’animo lacerato, incredulo nel veder combattere l’uno contro l’altro il Paese in cui era nato e cresciuto e il Paese che lo aveva accolto e adottato non solo calcisticamente. In molti gli consigliarono di non giocare, ma lui decise ugualmente di scendere in campo. All’entrata sul rettangolo di gioco venne letteralmente sommerso dai fischi. Non perché avversario temuto per le sue doti balistiche. Semplicemente in quanto argentino.

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Ardiles con la maglia degli Spurs. (Foto di Marcel Antonisse/Anefo da Nationaal Archief, CC0 1.0 DEED)

E per rafforzare e ribadire il concetto, qualora non fosse stato ancora chiaro, i tifosi del Leicester intonarono a squarciagola “England, England”. Dall’altro lato dello stadio i supporters del Tottenham non ci pensarono su due volte. Avevano imparato ad amare alla follia “Ossie”, così chiamavano Osvaldo. Loro che prima di lui non avevano mai visto indossare da nessuno straniero la maglia degli Spurs, eccezion fatta per qualche irlandese. Lo adoravano perché con il suo prezioso e decisivo contributo la squadra aveva già vinto la Coppa d’Inghilterra 1981 a Wembley, ed ora aveva raggiunto quella semifinale nel 1982. Grazie a lui il sogno continuava. Non potevano lasciarlo solo. In quel momento non pensarono alle Falkland, alla guerra, alla appartenenza alla Terra d’Albione, ai proclami della Thatcher e del ministro dello sport Neil McFarlane che in quei giorni chiedeva l’esclusione dell’Argentina dal Mundial 1982. In quel momento, su quegli spalti, appartenevano solo e soltanto alla grande famiglia, alla tribù, del Tottenham. Erano semplicemente tifosi degli Spurs e Osvaldo era uno dei loro, andava difeso e supportato a ogni costo. A “England, England” risposero senza esitazione con il possente coro “Argentina, Argentina” ed esposero lo striscione “Tenetevi pure le Malvine se ci lasciate Ossie”.

Osvaldo vivrà da vicino il dramma di quella guerra un mese dopo quella partita. Con la perdita dell’amato cugino José Leonidas, capitano dell’aviazione argentina, abbattuto dagli inglesi nell’Atlantico a soli ventotto anni. E, assieme a tutti gli altri compagni di Nazionale, alla vigilia dei Mondiali 1982, sarà suo malgrado protagonista dello spot “Le Malvine sono argentine” orchestrato dal regime di Buenos Aires che già durante i Mondiali casalinghi del 1978 aveva utilizzato il calcio come formidabile e potentissimo strumento di propaganda. Ciò nonostante l’amore tra Ossie e i suoi tifosi non cesserà. E con la maglia del Tottenham il centrocampista di Cordoba conquisterà anche la Coppa UEFA del 1984.

P.S. Non è semplicissimo trovare in rete immagini e filmati di Osvaldo Ardiles. Ma è possibile ammirarlo in azione, come attore, nel celeberrimo film “Fuga per la vittoria” del regista statunitense John Houston. Oltre a Michael Caine, Bobby Moore e Pelé, che si esibisce in una fantastica rovesciata, tra le glorie del calcio che interpretano i prigionieri alleati che sfidano la rappresentativa tedesca, c’è anche Ardiles. Maglia numero otto. Protagonista di una “bicicleta”, la favolosa giocata con cui riesce a superare l’attonito terzino teutonico di turno, facendogli passare il pallone sopra la testa con un virtuoso colpo di tacco.

La “bicicletadi Osvaldo Ardiles in “Fuga per la vittoria”

Foto copertina – Quattro argentini in Inghilterra: Osvaldo Ardiles (Tottenham), Claudio Marangoni (Sunderland), Alejandro Sabella (Sheffield United) e Ricardo Villa (Tottenham). (Foto da El Gráfico, in pubblico dominio)

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