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Île de Ré

Degustazione consigliata leggendo “Verso casa di Poupou” di Pietro Pisaneschi

Dodici è un numero pari, composto. È il magnesio nella tavola periodica degli elementi. Nella smorfia è il soldato. In libreria un fumetto di Zerocalcare – che belli i suoi video durante il lockdown! Dodici sono gli spigoli del Cubo, forse quelli del cubo di Rubik un po’ di più. Dodici sono le ore, i segni zodiacali, le nostre falangi. Nella letteratura medievale dodici sono i cavalieri della Tavola Rotonda. Nella Bibbia non ne parliamo: apostoli, figli di Giacobbe, tribù di Israele… La bandiera dell’Europa raffigura dodici stelle dorate disposte in cerchio su campo blu.

Il dodici vuol dire tante cose. Il dodici riguarda anche la Grande Boucle 2020.

Primož Roglič, Egan Bernal, Guillaume Martin, Romain Bardet, Nairo Quintana, Rigoberto Urán, Tadej Pogačar, Adam Yates, Miguel Ángel López e Mikel Landa. Per la prima volta nella storia, il Tour è arrivato a metà strada – dodici tappe – con dodici corridori di dodici squadre differenti ai primi dodici posti. Giovani atleti, accomunati dalla voglia di scrivere l’albo d’oro della maglia gialla. Accomunati dalla passione, dalla fatica e dalla loro professione. Proprio come quello che accomuna i soci della cantina cooperativa “Vignerons de l’Île de Ré”.

Île de Ré

Le etichette della Cooperativa Uniré Île de Ré realizzate per il Tour de France 2020.

Un’isola che ha visto il passaggio della maglia gialla. Una terra caratterizzata da splendide spiagge chiare e soffici. Ovunque saline e vigneti. Villaggi autentici, scelti come seconde case dai parigini. Un’intimità confortante. Rispettosa. Una popolazione residente di 20.000 abitanti sparsi in tutta l’isola. Mai la sensazione di affollamento, nonostante la sua piccola dimensione. Île de Ré è l’epitome dell’eleganza francese discreta. Non c’è lo sfarzo sgargiante della Costa Azzurra. C’è un’elegante nonchalance, una raffinatezza discreta. È come se l’isola fosse stata dipinta con delicati tratti ad acquerello. Al tramonto e all’alba questi colori prendono vita, la luce brilla sull’acqua e scivola tra gli edifici – si consiglia di avere sempre vicina la macchina fotografica. Il ponte – lungo 3 km – che collega l’isola alla terraferma è iconico. Costruito nel 1988, è l’unico punto di ingresso nell’isola, oltre che in barca. Il Phare de Baleines, il faro più alto di Francia costruito nell’800.

Piazze alberate e splendidi paesini si gettano sulla costa frastagliata. Mercati locali in cui assaggiare prodotti del territorio. Da non perdere è il porto di La Flotte e il suo lungomare: i visitatori e la gente del posto sorseggiano vino e guardano le barche che vanno e vengono. Tappa obbligata è Saint-Martin-de-Ré, la città principale dell’isola, sito del patrimonio mondiale Unesco, fortificata nel 1670 dal famoso ingegnere militare francese Vauban – ha edificato fortezze e palazzi incredibili! Un consiglio? Salite sul campanile della chiesa e cercate gli asini che pascolano in pigiama, rigorosamente a strisce. Tranquilli, non ho esagerato con le degustazioni per scrivere questo pezzo. È semplicemente una tradizione locale. Imperdibile!

Île de Ré

I vigneti dell’Île de Ré. (Yan Werdefroy)

Piste ciclabili per famiglie e cyclistes expérimentés. Rent bike a prezzi ragionevoli. Tutto perfetto per una pedalata attraversando i cento chilometri di piste ciclabili e i vigneti dell’Île de Ré. I vigneti ne sono parte integrante. Circa 600 ettari di vigne costituiscono circa il 7% della superficie totale dell’isola. Sappiamo che già nel XIII secolo qui l’uva veniva coltivata e poi vinificata dai monaci cistercensi. Da allora, la viticoltura non ha mai cessato di esistere. Nel secondo dopoguerra raggiunse la superficie di duemila ettari. Fu proprio in questo periodo, esattamente la sera della vigilia di Natale del 1950, che i viticoltori dell’Île de Ré decisero di creare la cooperativa Vignerons de l’Île de Ré. Realtà associativa che vedrà la nascita ufficiale nel 1951 a Bois-Plage-en-Ré sill’Île de Ré, sostenuta da una cooperativa di orticoltori, per poi fondersi nel 2008 in Uniré, l’unione delle cooperative dell’Isola di Ré.

Ciascuno dei soci è comproprietario della cooperativa, il che significa che ogni vignaiolo partecipa sia alla produzione che al processo decisionale. In comune rischi e costi. Ma anche competenze e mezzi di produzione. I ricavi in base al volume prodotto, ma anche in base alla qualità del raccolto.

Il clima temperato e le scarse precipitazioni permettono alle vigne di essere costantemente baciate dal sole. ll terroir è ricco di terreni calcarei e sabbiosi. La brezza marina diventa più impetuosa in inverno, ma sempre calda grazie all’influenza della Corrente del Golfo. La combinazione di questi fattori naturali è favorevole alla coltivazione della vite. Vini dai profumi inebrianti e dai sapori caratteristici. Una costante attenzione al prodotto e al perfezionamento dei metodi di coltivazione. Uno studio approfondito del terroir dal 2001 al 2005 ha permesso di studiare la composizione dei suoli. Ne è scaturita una precisa mappa dei terreni su tutti gli appezzamenti coltivati a vite. Per capire come adattare al meglio i vitigni a ciascun terreno. Per garantire migliori maturazioni e maggior qualità. Per coccolare e proteggere i vini.

Sette presse pneumatiche e diverse tipologie di tini per gestire le uve portate in cantina dai soci. Bianchi e rosati, prima della macerazione, sono pressati e poi messi in tini. I rossi direttamente in tini Ganimede, autopompanti e in grado di sfruttare l’emissione di CO2 prodotta dalla fermentazione per rimestare le vinacce senza intervento meccanico. È in queste vasche che avvengono per un mese la prima fermentazione alcolica del vino con i lieviti – trasformazione dello zucchero in alcool – e la seconda fermentazione malolattica – trasformazione dell’acido malico in acido lattico da parte dei batteri. Il “primo vino” raccolto dalla vasca, poi la vinaccia. Per pressare il tutto e ottenere così il vino di pressatura.

La distilleria è il core business della cooperativa, rappresentando il 50% della produzione. L’altra metà regala due milioni di bottiglie di vino IGP Charentais. L’80% viene venduto sull’isola. Il restante esportato. Otto sono le uve coltivate. Ugni blanc per Cognac e Pineau, Colombard, Chardonnay, Sauvignon per i bianchi e Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Négrette per i rossi. Per la produzione dei Cognac e del Pineaux des Charentes, è utilizzato principalmente Ugni Blanc (e un po’ di Colombard).

Île de Ré

Quella della Cooperativa Uniré Île de Ré è una produzione che potremmo definire “a tutto pasto.

Seppur tentato dalle etichette di Sauvignon, Chardonnay e Merlot raffiguranti biciclette da passeggio un po’ retro, consiglierei di cominciare il percorso di degustazione in cantina con “Trousse Chemise Blanc”, blanc de blanc Chardonnay Brut. Il nome dell’etichetta in onore al boschetto di Trousse chemise di Charles Aznavour – anche se nel testo si parte in viaggio “con due bottiglie di vero Muscadet”. Una canzone che ha fatto il giro del mondo, evocando vacanze e ozio. Vino prodotto secondo il metodo classico – visto che siamo in Francia lo potrei chiamare champeneuse. Bolle fini che salgono dal fondo del bicchiere. Giallo paglierino brillante. Al naso fiori bianchi, albicocca secca, melone e biscotti. In bocca è fresco e acido, con sentori di pane allo zenzero, pera e mela verde. Croccante. Sentori di pasta frolla. Un invito a festeggiare questa fine d’estate. Perfetto come aperitivo con gli amici al termine di una giornata in spiaggia. Da solo o in un cocktail. In versione estiva con capesante o con un bel branzino alla griglia. In versione invernale con un fish & chips. Per un’esperienza culinaria locale: grillon cheretais – crostini con patè di carne di maiale o di anatra -, quiche al tonno, nasello fritto al limone.

Proseguendo stapperei una bottiglia di “Le Royal”. Ogni uvaggio apporta la sua peculiarità al blend: gli aromi di agrumi e fiori del Sauvignon, la struttura e la rotondità dello Chardonnay, la vivacità e il sentore di limone del Colombard. Un mix perfetto – 50%-20%-30% – quello dell’enologo e maestro di cantina François Guilbaud – dal 2017 gli è succeduto Etienne Blanchon. Una vinificazione a temperatura controllata per preservare gli aromi, in cui la macerazione delle bucce del Sauvignon permette di estrarre aromi inconfondibili. Alla vista il colore è giallo chiaro brillante. Al naso agrumi, fiori bianchi e la rosa. Il palato è vivace e minerale. Resta comunque equilibrato, con una buona lunghezza. Aromi di mela, citronella e gemma di ribes nero. Un bel vino, in grado di accompagnare frutti di mare, crostacei (anche gratinati), filetti di sgombro marinati, pesce alla griglia. Molto interessante con formaggio di capra fresco o semisecco, lumache e sformato di asparagi e patate DOP Île de Ré. Con ostriche e gamberi locali è praticamente impossibile sbagliare. Se siete in Charente è d’obbligo l’abbinamento con eclade de moules, preparazione caratteristica a base di cozze e aghi di pino – vengono bruciati prima del servizio. Si astenga chi ha paura di sporcarsi!

Immancabile è la degustazione del Pineau de Charentes. Rito serale di ogni isolano doc. Un aperitivo cult per i francesi. Un dopo cena per le abitudini italiane. La leggenda vuole sia stato creato durante la raccolta del 1589, quando un enologo aggiunse involontariamente del mosto in una botte contenente acquavite. Credendo vuota la botte la restituì alla cantina per la fermentazione. Pochi anni dopo la botte fu recuperata e da allora non si fece più a meno del Pineau.

È un vino fortificato, realizzato quasi esclusivamente nei dipartimenti della Charente e Charente Maritime, ottenuto mescolando cognac – 25% del composto – con uve Ugni blanc per il Pineau blanc e con uve Merlot rouge per il Pineau rosato. L’aggiunta di cognac – o acquavite – blocca la fermentazione del mosto, attraverso il percorso chiamato mutage. Per renderlo aromatico e non sbilanciato è necessario un invecchiamento di almeno un anno e mezzo per il rosato e di due anni e mezzo per il bianco. Tutto rigorosamente in botti da 350 litri.

Il colore di “Ilrhéa Pineau des Charentes Blanc” è dorato intenso. Avvicinando al naso il bicchiere avvertiamo immediatamente miele, scorza d’arancia e uva passa. Anche leggeri sentori erbacei. In bocca la noce e la mandorla. Il palato è setoso: ci ritrovo miele, frutta secca e ribes. Da servire freddo (8–10° C) in bicchieri a forma di tulipano. Per esaltarne al meglio il naso. Perfetto per torte alle amarene, macedonie di frutta, crêpes flambées al grand marnier. In Francia è un ottimo aperitivo. Io non lo apprezzo particolarmente in questa versione. Troppo dolce. Se proprio volete azzardare lo consiglio vicino a un gelato, gusto crema e amarena. Per territorialità va benissimo con crostata di crema con pesche e ciliegie – in estate – e chabichou, formaggio di capra morbido. Interessante con cannoli siciliani con frutta candita, senza gocce di cioccolato.

E perché no… guardando le torri di La Rochelle, in attesa delle prossime tappe del Tour de France e della prossima stagione di “U-Boot” anche assemblato per cocktail estivi.

Un’idea? In un bicchiere da long drink schiacciate delicatamente foglie di menta fresca e scorze di lime. Versate Pineau des Charentes. Coprite con ghiaccio e mescolate. Completate con acqua frizzante, 1 goccia di Angostura bitter e, se volete, un goccio di sciroppo di zucchero di canna.

IGP CHARENTAIS, “LE ROYAL” (2018)

Coopérative des Vignerons Uniré Île de Ré

ALC 12,5% vol – 750ml

Euro 23,00

Foto copertina – Cooperativa Uniré Île de Ré

 

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Un commento

  1. […] Lettura consigliata degustando “Le Royle” (Coopérative des Vignerons Uniré Île de Ré) […]

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