Esattamente 32 anni fa, il 23 marzo 1991, tutti gli appassionati di ciclismo italiani ebbero di che entusiasmarsi. Sotto la pioggia battente, bagnato come un pulcino, dopo avere staccato lungo le celebri salite e discese del percorso uno a uno tutti i suoi compagni di fuga, un uomo solo si presentò al comando sul rettilineo finale di Via Roma, conquistando l’edizione numero 82 della Milano-Sanremo, la Classicissima di Primavera. Impresa firmata Claudio Chiappucci, un ciclista combattente nato, che attaccando da lontano sorprese e sbaragliò la concorrenza dei favoriti Bugno, Fondriest, Sorensen, Mottet, anticipando la ristretta volata finale di gruppo data per scontata da molti addetti ai lavori alla vigilia. Una vittoria ottenuta con una giusta dose di sana lucida follia, piuttosto rara nel ciclismo dell’epoca, marchio di fabbrica del modo di interpretare le corse del ciclista lombardo.
Chiappucci, passato professionista nel 1985, dopo anni di prezioso ma anonimo gregariato al servizio dei suoi capitani di turno, era balzato agli onori della cronaca mondiale ed entrato nel cuore dei tifosi appena un anno prima rispetto al trionfo in Liguria, durante il Tour de France del 1990. Al secondo giorno di gara, insieme ad altri 3 corridori andò infatti in fuga e giunse al traguardo con ben 10′ 35″ di vantaggio sul gruppo. La classica fuga-bidone, espressione con cui si intende una fuga di comprimari cui i migliori lasciano ampio margine non temendoli affatto per la classifica finale. Una valutazione che si rivelò in quell’occasione un vero e proprio azzardo perché dopo le tappe pianeggianti e quelle sulle Alpi Chiappucci, a differenza degli altri 3 compagni di ventura, non perse molto terreno e rimase ai vertici. Vestì così la maglia gialla per otto tappe, fino alla penultima frazione, anche se il margine sui big si era progressivamente ridotto. Solo alla frazione numero 20, una cronometro di 45,5 km, non favorevole alle sue caratteristiche di scalatore, Chiappucci perse il primato a vantaggio dello statunitense Greg LeMond, conquistando comunque il secondo posto finale e un podio che mancava all’Italia dai tempi di Felice Gimondi.
Un risultato che cambierà definitivamente la sua carriera, infondendogli consapevolezza nei propri mezzi, facendogli guadagnare nella sua squadra, la Carrera, i gradi di capitano. Nel frattempo per tutti diventò El Diablo, soprannome coniato dagli Spagnoli che lo vedevano attaccare nelle loro corse appunto come un diavolo. Uomo schietto e ciclista generoso, amava sempre dare spettacolo, piacere alle folle, rompere schemi e indugi, attaccare al primo cavalcavia che si presentasse in corsa, facendo così saltare i piani prestabiliti e tacitamente concordati da tutto il gruppo desideroso di affrontare quegli inizi di tappa in maniera più blanda e meno esplosiva.
Oltre alla citata classica monumento Milano-Sanremo, ha conquistato due Giri del Piemonte, 3 podi al Giro d’Italia, 3 podi consecutivi al Tour de France dal 1990 al 1992, più volte la maglia di miglior scalatore, verde al Giro e pois al Tour.
Avrebbe potuto probabilmente vincere ancora di più se non avesse incontrato lungo la sua strada in quegli anni un certo Miguel Indurain, il Principe di Navarra, un vero e proprio fuoriclasse delle due ruote, grande passista e specialista delle cronometro in grado però di non cedere un metro neppure in salita, abile a sfruttare la rivalità tra lo stesso Chiappucci e Bugno, due Lombardi dai caratteri diversissimi che non riuscirono mai a coalizzarsi, preferendo marcarsi tra loro. Una rivalità – è bene sottolinearlo – accesa durante le corse ma sempre contraddistinta dalla correttezza, dimostrata ancora oggi dai due protagonisti che a distanza di anni continuano a punzecchiarsi ma sempre con garbo e intelligente ironia.
Pochi sono i rammarichi in carriera per un corridore che ha sempre dato tutto sé stesso. Forse il più grande è paradossalmente rappresentato da una medaglia d’argento, quella vinta ai Campionati del Mondo di Agrigento nel 1994: rimasto in quell’occasione nel gruppo dei migliori fino all’ultimo giro, ad un passo dal sogno iridato, fu sorpreso sulla salita finale dallo scatto del francese Luc Leblanc che si aggiudicò quel Mondiale sopravanzandolo di soli 9 secondi dopo ore e ore di corsa tiratissima.
In un ciclismo molto diverso da quello attuale, in cui in gruppo si parlavano l’italiano e il francese e non l’inglese, in cui le stagioni non duravano di certo da febbraio fino a novembre, ha avuto il privilegio di correre con due campioni che ci mancano tanto: Marco Pantani, suo giovane dirompente compagno di squadra ai tempi della Carrera e Michele Scarponi, un altro ragazzo che non difettava di classe, simpatia e generosità.
Foto copertina – Claudio Chiappucci durante un incontro organizzato dal Panathlon Macerata.