Non si fanno 4 finali di Davis senza essere “Una Squadra”

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La conquista della Coppa Davis nel 1976 rientra a pieno titolo nel novero dei successi più prestigiosi e rilevanti della storia del tennis e di tutto lo sport italiano. Un’impresa celebrata da diversi libri e docu-film focalizzati soprattutto a ripercorrere le partite della finalissima contro il Cile nella capitale Santiago e le vicende extra sportive che ne caratterizzarono la vigilia, con una parte consistente della politica, dell’intelligentia, dell’opinione pubblica nostrane a chiedere e rivendicare con manifestazioni e accesi dibattiti che la Nazionale italiana non disputasse quell’incontro per boicottare il sanguinoso regime di Pinochet instauratosi tre anni prima con tutto il suo carico di violenza e terrore.

Il libro “Una Squadra” (2022, Fandango Libri) di Domenico Procacci, selezionato tra i sei finalisti del Premio Bancarella Sport 2023, ha voluto coprire un raggio di azione più ampio, raccontando non solo l’atto finale di quella manifestazione del 1976 ma tutto l’arco di vita di quella squadra, partendo dai suoi debutti nei primi anni ‘70 fino all’epilogo del suo ciclo, poco dopo il 1980. Perché – non bisogna mai dimenticarlo – quella squadra composta da Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli non si limitò a vincere una Davis ma in soli cinque anni (1976-1980) riuscì a centrare addirittura quattro finali, peraltro tutte giocate fuori casa con gli avversari a poter scegliere campi e superficie e a godere del tifo del pubblico amico. Troppe 4 finali per considerare il trionfo del ’76 un episodio isolato, un exploit estemporaneo, facilitato da circostanze particolari o sorteggi favorevoli, reso possibile dal particolare stato di grazia di questo o quel giocatore. La verità è che quella formazione era talentuosa, equilibrata, ben assortita tecnicamente, una tra le tre/quattro più forti e complete al mondo, non per una sola stagione ma per un intero lustro.

Procacci, con l’ausilio dello scrittore Sandro Veronesi e del giornalista Lucio Biancatelli, ha ricostruito quell’epopea intervistandone i cinque assoluti protagonisti: i 4 tennisti già citati e Nicola Pietrangeli, capitano non giocatore di quella formazione fino agli inizi del 1978, quando venne sollevato dall’incarico per decisione unanime della Federazione e dei componenti della squadra dopo una serie di incomprensioni sfociate in tensioni piuttosto accese durante la finale di Davis del 1977 in Australia. Un esonero che, a cinquant’anni di distanza, il campione nato a Tunisi ancora non digerisce e vive come un tradimento.

Il libro non ha la pretesa di essere un manuale, un resoconto storico, ma piuttosto un libro di ricordi. Anche perché la memoria, a distanza di così tanto tempo, non può rappresentare quei fatti con precisione assoluta e scientifica, tendendo a volte a romanzare, edulcorare la realtà. È divertente, leggendo l’opera, riscontrare come i medesimi episodi vengano raccontati dai diversi protagonisti in maniera spesso non totalmente coincidente, con sfumature differenti, con elementi evidenziati da alcuni e considerati irrilevanti da altri, ricostruzioni basate su impressioni e suggestioni, circostanze conosciute dagli uni e completamente ignorate dagli altri.

Ne viene delineato il quadro di una squadra formata da due gruppi distinti per carattere e attitudini pronti però a coalizzarsi e marciare nella stessa direzione per centrare l’obiettivo della vittoria. Da una parte Panatta e Bertolucci, grandi amici che per tanti anni hanno anche condiviso un appartamento al Fleming di Roma, entrambi single e amanti della vita notturna – soprattutto Adriano – spigliati, estroversi, con amicizie altolocate; dall’altra Barazzutti e Zugarelli, meno mondani e festaioli, più quadrati, sposati fin da giovanissimi, tutti casa, campo e famiglia.

Intendiamoci bene: tra i due gruppi non esisteva nulla di assolutamente paragonabile al clima di perenne tensione e guerriglia che si respirava durante le settimane di allenamento nella Lazio di Maestrelli, capace comunque di vincere uno scudetto calcistico. Semplicemente i nostri giovani tennisti erano amici, ma non grandi amici. Si volevano bene ma senza esagerare. Pensavano e agivano in maniera differente sotto diversi aspetti ma si rispettavano e soprattutto – questo il grande segreto della loro alchimia vincente – rispettavano i loro ruoli in squadra: Panatta e Barazzutti (rispettivamente n. 4 e n. 7 del ranking mondiale) erano i singolaristi designati; Panatta e Bertolucci formavano il doppio, uno dei più competitivi al mondo; Zugarelli, molto più di una semplice riserva, era sempre pronto a subentrare in caso di bisogno, soprattutto sui campi dalle superfici veloci, come quando nel 1976 nei quarti di finale della Davis sull’erba di Wimbledon contro l’Inghilterra conquistò un punto decisivo per la vittoria finale sostituendo Barazzutti.

Tonino Zugarelli. (Foto da fitp.it, in pubblico dominio)

Tanti gli episodi raccontati che ci riportano a un’epoca del tennis lontana anni luce da quella attuale: ad esempio, la rissa che in Spagna coinvolse Panatta, fischiato e colpito da una cuscinata di uno spettatore locale che gli rimproverava lo scarsissimo impegno profuso nell’affrontare l’ultimo incontro del turno di Davis a risultato già acquisito con il diplomatico italiano presente sugli spalti pronto a stigmatizzare il comportamento degli Azzurri piuttosto che a difenderli; oppure il clima incandescente riservato in tante trasferte nella ex Jugoslavia o nell’Est Europa, con gli arbitri che non erano ancora internazionali e neutrali ma locali, pronti a vanificare una marea di servizi vincenti degli italiani rilevando presunti dubbi falli di piede.

Dalle 5 interviste emerge un tratto distintivo comune a tutti: il viscerale amore per la Davis, una coppa agognata e desiderata da ogni tennista al pari di Wimbledon o del Roland Garros, per la quale si svolgeva un’adeguata preparazione e si sacrificavano interessi personali per giungervi nelle migliori condizioni possibili.

Una competizione ora purtroppo meno sentita e, a causa del nuovo discutibile format introdotto recentemente, svilita e ridimensionata a competizione secondaria. Si è persa gran parte della magia emanata da quegli incontri tra Nazioni, ma ci auguriamo comunque, come fa Pietrangeli nelle ultime battute del libro, che grazie alla generazione dei Sinner, Berrettini, Musetti, Sonego si possa ben presto leggere sui giornali una frase di questo tenore: “Per la seconda volta l’Italia vince la Coppa Davis”.

 

UNA SQUADRA

di Domenico Procacci

FANDANGO LIBRI – 377 pagine

Euro 20,00

 

Foto copertina – Il capitano Nicola Pietrangeli, Paolo Bertolucci, Adriano Panatta, Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli appena atterrati a Roma con la Coppa Davis. (Foto di Ansa, in pubblico dominio)

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