Da “L’abecedario” di Gilles Deleuze (Videointervista in due Dvd a cura di Claire Parnet per la regia di Pierre-André Boutang) alla voce “T”
Uno dei filosofi francesi più influenti e prolifici della seconda metà del XX secolo, una “biblioteca di Babele” secondo Jean-François Lyotard. Ma l’influenza di Gilles Deleuze va oltre la filosofia. Il suo lavoro è citato con approvazione e i suoi concetti vengono utilizzati da ricercatori di architettura, studi urbani, geografia, studi cinematografici, musicologia, antropologia, studi di genere, studi letterari e altri campi, tanto da aver ispirato un’opera come “L’abecedario” di Gilles Deleuze, videointervista in due Dvd a cura di Claire Parnet per la regia di Pierre-André Boutang, unico film dedicato a questo pensatore che si è sempre rifiutato di apparire in televisione e in questa occasione accetta l’intervista, durata ben otto ore, a condizione che si sviluppasse in forma di conversazione tra lui e la sua ex studentessa e amica Claire Parnet e che fosse trasmesso dopo la sua morte, avvenuta nel 1995.
Articolato per concetti, dalla «a» di animale alla «z» di zigzag, tocca voci quali cultura, desiderio, gioia, letteratura, storia. Il risultato sono oltre sette ore di conversazione durante le quali una delle menti più importanti del Novecento ripercorre le tappe della formazione del proprio pensiero, intrecciandole al ricordo di una vita ostinatamente tesa alla filosofia. In questo lungo racconto Gilles Deleuze non cessa di stupire, passando dalla descrizione di un quadro al ricordo del ‘68 francese, dal racconto dell’incontro con un filosofo a quello con un libro, dalla spiegazione dell’origine di un concetto a quella del suo amore per il tennis.
Alla lettera “T” Deleuze, dopo aver speso qualche breve parola sulla sua attività sportiva da tennista, iniziata appena adolescente, verso i quattordici anni e conclusasi con l’inizio della seconda guerra mondiale, si sofferma a spiegare la differenza, valevole per tutti gli sport ma che lui declina nel suo prediletto, tra due tipi di campioni, che non hanno e non possono avere lo stesso valore. Gli inventori e i non inventori. Ciò che, infatti, ritiene interessante dello sport sono le sue mutazioni qualitative che, per Deleuze, sono questioni di stile, di attitude.
Esemplifica il concetto attraverso le figure di Bjorn Borg e John McEnroe. Per tutti, entrambi straordinari campioni del tennis, ma per Deleuze con una significativa differenza. Mentre il primo è quello che definisce un creativo dello sport, un inventore, lo stesso non può dirsi invece del secondo che, durante l’intervista definisce “aristocratico puro”.
Borg ha trasformato il tennis in uno sport di massa, lo ha proletarizzato, e ne ha cambiato lo spazio imponendo il gioco da fondo campo, il più indietro possibile, insieme a duri topspin e palle alte e rendendolo, come dice Andrea Labanca, da un sport gentile a un sport di fatica e dallo sforzo fisico immane. E se per Deleuze, Borg, cristomimetico, esattamente come Cristo si rivolge al popolo, McEnroe è l’anti-Borg. Un aristocratico puro, dal servizio egiziano, che gioca come forse nessuno avrebbe potuto e che ha stravolto le regole con la sua rinomata rabbia.
Uno tra i più grandi campioni al mondo ma non un creatore. Non per Deleuze evidentemente. Al contrario di un altro americano, Jimmy Connors il cui modo di colpire la palla quando non era in equilibrio definisce invece l’apice della genialità.
Foto copertina – Ritratto di Gilles Deleuze. (Foto di Thierry Ehrmann, CC BY 2.0 DEED)