«Il gol di Sparwasser probabilmente fece cadere il Muro di Berlino parecchi anni prima che fosse fisicamente demolito».
Lettura consigliata degustando “Sparwasser” (Birrificio artigianale Malaripe)
Ci sono città che ti seducono come belle donne. Puoi ammirarne il fascino, volerne respirare ancora il profumo. Puoi essere travolto dalla loro eleganza o dal loro modo di fare festa. Ci sono città che ti trovi a vivere per mille motivi, ognuno con un sapore differente, a volte complementari. Lavoro e opportunità. Studio ed esperienze. Turismo e curiosità. Unioni mutevoli e mai scontate.
Sono poche le città che porto nel cuore. E Berlino è al primo posto.
Capitale della Germania, è punto di riferimento della politica, della cultura, dei media e della scienza di tutto lo stato. Un patrimonio culturale pazzesco, nonostante la devastazione provocata dalla Seconda Guerra Mondiale e dal suo essere stata ‘spezzata’ in due. Una città di cui ti innamori o per cui dici “no grazie”. Un po’ come in un referendum: favorevole o contrario. O bianco o nero. Senza vie di scampo.
Nella capitale tedesca è accaduto proprio così, dal 13 agosto 1961 al 9 novembre 1989. Berlino Ovest o Berlino Est. Repubblica Federale di Germania o Repubblica Democratica Tedesca. Uno smembramento – concordato a tavolino – di quella che era stata o voleva essere la Grande Germania. Una divisione che ha avuto conseguenze oltre tutto l’occidente e che ha gettato il mondo negli anni della Guerra Fredda. Un muro, quello di Berlino, che ha diviso anche lo sport. Vincenzo Paliotto, nel suo “Stasi Football Club. Il calcio al di là del muro” ci racconta in maniera breve ma efficace il profilo sportivo della DDR. Un lavoro di ricerca durato oltre un anno, nato da una passione puramente storica, dopo una laurea conseguita in Scienze Politiche e Storia Politica.
Classe 1973, Paliotto è autodidatta, scrittore per giornali locali – Il Roma e Il Mattino – corrispondente per anni della Cavese. Ha scritto per Napolissimo (Guerin Sportivo campano a colori). Si definisce un grande appassionato di letteratura sportiva. Nel 2018 vanta una importante collaborazione con Rabona, la trasmissione Rai condotta da Andrea Vianello.
La DDR lo ha sempre incuriosito da un punto di vista sociale, politico e sportivo. Quel medagliere olimpico sempre gonfio, oltre ogni ragionevole misura. Sui risultati l’ombra, anzi la certezza, di una somministrazione scientifica del doping agli atleti. Del resto la cultura sportiva dei dirigenti del Sozialistische Einheitspartei Deutschlands era molto simile a quella nazista. Lo sport aveva il compito di rinforzare il regime agli occhi degli altri paesi. Propaganda pura. Le risorse finanziarie venivano quindi investite soprattutto nell’atletica leggera e negli sport olimpici. Poco nel calcio ché di medaglie ne poteva dare al massimo una. Quasi inutile per la politica di stato. Le discipline che non erano in grado di raggiungere risultati o che non ottenevano visibilità venivano smantellate.
In ambito calcistico, quindi, la Oberliga non poteva competere con la Bundesliga. I giocatori erano considerati dilettanti e percepivano salari molto modesti. Le squadre sempre molto forti dal punto di vista fisico ma spesso prive di estro e fantasia. Squadre in cui il talento del singolo era sacrificato in nome del collettivo.
Eppure la DDR era riuscita comunque a ritagliarsi un blasone internazionale. Il Magdeburgo aveva vinto la Coppa della Coppe – che bella che era – nel 1974 a Rotterdam a discapito del Milan di Rivera. Nello stesso anno la Dynamo Dresda si era contesa la qualificazione in Coppa Campioni con il Bayern Monaco in un doppio confronto epico ed esaltante. E poi la finalissima di Coppa delle Coppe del 1981 che aveva visto affrontarsi Carl Zeiss Jena – avevano eliminato la Roma di Falcao – e Dinamo Tiblisi. La finale di Coppa delle Coppe nel 1987: il Lokomotive Lipsia contro l’Ajax di Marco Van Basten.
Se a livello di Nazionale maggiore i Mondiali del 1974, con il successo sulla Repubblica Federale, hanno rappresentato il miglior risultato nella storia della DDR, è con le nazionali giovanili che la Germania Est si è tolta qualche sassolino dallo scarpino: 1965 sull’Inghilterra, 1970 ai rigori contro l’Olanda, 1986 contro l’Italia di Lupi. Soddisfazioni ancora maggiori la Germania Est se le toglie nelle Olimpiadi. Sarà un caso? Medaglia di bronzo a Tokyo nel 1968 e a Monaco di Baviera nel 1972 battendo in semifinale la Germania Ovest 3-2, oro a Montreal nel 1976.
Vincenzo Paliotto comincia il suo libro ricordando come purtroppo la polizia segreta del Ministerium für Staatssicherheit (Stasi) aveva finito per influenzare e dominare la scena calcistica nel paese, caldeggiando oltre ogni decenza la squadra che era la sua “appendice”: la Dynamo Berlino. Nata nel 1953, sulle ceneri del Volkspolizei Berlin, la squadra della polizia locale, si era sbarazzata degli scomodi cugini del Vorwaerts Berlino, trasferiti di forza a Francoforte sull’Oder, e aveva visto con piacere l’Union Berlino costantemente “depredato” dei giocatori migliori. Per gli oppositori? Il carcere di Ruscherstrasse.
Erich Mielke, numero due della Stasi, una volta diventato presidente della Dynamo Berlino, aveva perfezionato la sua strategia con una vera e propria epurazione della Dynamo Dresda. Nel 1979 iniziava il dominio assoluto dei granata: 10 campionati consecutivi. Quando non bastavano le “campagne acquisti” forzate di Mielke, arrivavano il doping e i favori arbitrali. Incredibile la storia di Adolf Prokop. Un vero e proprio “arbitro per amico” per la Stasi. Una giacchetta nera capace con grande naturalezza di fischiare solo in favore delle sfere di regime. Gli arbitri corrotti, che nella vita di tutti i giorni lavoravano per i servizi segreti, la domenica condizionavano i risultati delle partite di campionato. I continui favoreggiamenti e la situazione “ambientale” intorno alla squadra di Mielke avevano reso la Dynamo Berlino la squadra “più odiata di Germania”, facendo allontanare molti tifosi dal calcio. Un episodio su tutti? Nella stagione 1985/86 l’arbitro Bernd Strumpf concede un rigore molto dubbio, permettendo ai granata di pareggiare allo scadere, ottenendo l’ennesimo scudetto. Fu definito lo scudetto della “vergogna di Lipsia”.
L’autore campano ben fotografa quelli che erano i tempi della Guerra Fredda, una realtà che oggi è difficile comprendere, almeno per i Millennial. Gli anni oscuri della DDR caratterizzati da spionaggio e segreti di stato; anni che oggi potremmo rivivere leggendo gli intrighi dello scrittore John le Carré. Anni in cui se provavi a scappare da Ostberlin, facevi la fine di Lutz Eigendorf: il giocatore della Dynamo Berlino che approfittando di una amichevole disputata contro il Kaiserlautern era riuscito a stabilirsi nella Germania Federale, per essere poi, anni dopo, sequestrato e torturato dalla Stasi e, costretto a ingerire droghe e alcool, messo alla guida della propria auto, verso la morte (5 marzo 1983).
Le 100 pagine di Stasi Football Club sono un excursus storico, di ineccepibile rigore metodologico. Albo d’oro della Oberliga (massima serie) dal 1947/48 al 1990/91, albo d’oro FBGB-Pokal (coppa nazionale) dal 1949 al 1991, i migliori marcatori. Un’analisi puntuale delle formazioni più importanti del campionato della DDR: Dynamo Berlino, Magedeburgo, Sachsemting Zwickau (la squadra del paese della mitica Trabant che arrivò a sfidare l’Anderlecht nella semifinale di Coppa delle Coppe del 1976), Carl Zeiss Jena, Lokomotive Lipsia, Chemie Lipsia, Union Berlino (la cui tifoseria è sempre stata avversa al regime), Vorwaerts, Hansa Rostock, Dynamo Dresda (estromessa dalla Coppa Uefa nel 1988/89 dai cugini occidentali dello Stoccarda di Klinsmann), Karl-Marx-Stadt (in sfida con la Juventus per la Coppa Uefa nel 1989), Chemie Halle, Rot-Weiss Erfurt, Wismut Aue, Energie Cottbus (la squadra per cui batte il cuore di Angela Merkel).
E poi le storie incredibili.
L’impresa del tecnico Heinz Krugel che, con i giovani del vivaio, ha costruito l’ossatura del suo Magdeburgo in grado di vincere nella Oberliga e in campo internazionale. Anche la Juventus aveva offerto a Krugel la panchina della prima squadra, ma le ferree leggi del regime non gli avevano permesso il trasferimento in Piemonte. Non piacevano alla Stasi le sue inclinazioni filooccidentali. Forse gli era stato fatale il rifiuto di inserire microspie tra i bagagli dei giocatori del Bayern Monaco in una partita di Coppa Campioni. Nel suo storico Magdeburgo anche Jurgen Sparwasser, eroe dei Mondiali 1974 in Germania Federale. La DDR allenata dal Ct Buschner alla fase finale – ironia della sorte – era stata inserita nello stesso girone dei tedeschi occidentali. L’atteso confronto fra le due Germanie, il primo a livello di Nazionali maggiori, si è giocato il 22 giugno al Volkspark di Amburgo in uno stadio blindatissimo per ragioni di sicurezza e davanti a oltre 60 mila spettatori. Sul campo però l’inaspettato contropiede di Jürgen Sparwasser, l’attaccante del Magdeburgo. Un tiro di destro che ha fatto rapidamente il giro del mondo scrivendo una tra le pagine più significative della storia del calcio e non solo!
Le mie preferite? Quelle su Jürgen Croy. Considerato il miglior portiere della Germania Est, ha speso tutta la sua carriera nello stesso club, il Sachsenring Zwickau, nel quale ha militato dal 1967 al 1985. In Nazionale ha vinto l’oro a Montreal nel 1976 e il bronzo alle Olimpiadi di Monaco nel 1972, oltre ad aver partecipato ai Mondiali del 1974. Un Francesco Totti tedesco. Un amore incondizionato per il proprio club. Come quello che Vincenzo Paliotto ha dichiarato a Urbone Publishing. Tante infatti le richieste da altre case editrici per pubblicare saggi e volumi sul calcio sociale, ma è un rapporto di amicizia profonda quello che lega il suo passato, il suo presente e anche il suo futuro – ci racconta l’autore – alla Urbone, a braccetto della quale infatti pubblicherà anche le sue prossime fatiche in cantiere: “C’era una volta la Coppa delle Coppe” e un altro libro sul calcio socialista.
Chi non ha invece avuto futuro è l’Oberliga. Andrà in archivio con la caduta del muro di Berlino. Stessa sorte per la nazionale. L’ultima partita della DDR ha come teatro il triste e noto stadio Heysel. La partita contro il Belgio, valevole per le qualificazioni per Euro ’92, fu declassata ad amichevole in vista della proclamazione dell’unità della Germania. Al ritiro si presentarono solo in pochi, fra questi Matias Sammer. Sua sarà la doppietta vincente. Sua quella lunga carriera – giocherà anche in Italia con l’Inter – che lo vedrà vincere gli Europei del 1996 con la Germana unita e alzare anche il pallone d’oro.
A 30 anni dalla caduta del muro nessun giocatore proveniente dalla Germania dell’Est si è mai aggiudicato la Coppa del Mondo.
Nessun club ha mai vinto un titolo nazionale.
Il grande calcio sembra aver abbandonato la Germania dell’Est.
Goodbye Lenin… Hallo Fußball!
STASI FOOTBALL CLUB. IL CALCIO AL DI LÀ DEL MURO
di Vincenzo Paliotto
URBONE PUBLISHING – 100 pagine
Euro 12,00
La citazione da ricordare
«La DDR si aspettava una disfatta. Quanti ne becchiamo? Di questo si parlava. Noi contavamo sul catenaccio, non avevamo tattica, arrivavamo al calcio come scarti di altre discipline, spesso dall’atletica. Loro erano star internazionali. Avevano la reggia prussiana di Beckenbauer, mentre noi eravamo solo degli onesti somari. Non so perché, forse presi dal panico, cominciarono a buttare tutti palloni alti. Muller piccolino, noi più grossi. E poi Beckenbauer disse quel nome: Waterloo».
Foto copertina – Uwe Meinhold/ddp/centrotrame.wordpress.com
Un commento
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