Il Giro d’Italia. Un rito collettivo che perpetua fascino e appeal, qualunque siano i suoi protagonisti d’annata, continuando ad attrarre in strada e incollare davanti alla TV milioni di tifosi e appassionati. Una corsa che fiera della sua storia ci fa conoscere tanti angoli, anche poco conosciuti, della nostra Italia, preserva i suoi riti, nonostante qualche discutibile deviazione imboccata per venire incontro alle esigenze degli sponsor. Ogni anno ci divertiamo, prima del suo inizio, a studiare il percorso, a vedere quante stellette siano state assegnate dai giornali a una tappa per quantificarne la difficoltà, ci interroghiamo se quella certa salita possa essere più favorevole alle caratteristiche di quel o di quell’altro corridore, se quella determinata discesa possa divenire teatro di un attacco, se una tappa sia destinata a un arrivo in volata o a premiare una fuga da lontano. E poi arrivano i giorni di corsa, che scorrono via veloci, passano tutti di un fiato, con gli scenari che cambiano repentinamente, con la possibilità per un corridore di passare in un amen dalle stelle alle stalle, dalle lacrime di gioia a quelle di dolore e di sconforto.
Questa smisurata passione per la corsa rosa è la stessa nutrita nell’arco della sua vita da Gino, protagonista assoluto del romanzo “Il Giro d’Italia sul divano” (2018, Qudu) di Francesco Cavalieri, avvocato fanese amante di ciclismo e scrittura.
Dal 1979 in poi Gino solo due volte, per cause di forza maggiore, ha saltato il suo tradizionale appuntamento quotidiano con la corsa, tralasciando di vedere una intera tappa del Giro d’Italia. Giunto il mese di maggio ogni appuntamento, ogni pensiero, ogni impegno, fosse scolastico lavorativo o sentimentale, veniva per alcune ore, quelle della gara, inesorabilmente accantonato, rinviato, tralasciato, lasciando spazio ad un amore per il ciclismo interamente consumato sul divano di casa. Con rare sporadiche eccezioni, perché quando il Giro passava dalle sue parti, nelle Marche, Gino abbandonava il suo luogo prediletto di osservazione, il consunto divano di casa, per tuffarsi sul tracciato, scegliendo i luoghi del percorso più suggestivi, quelli che permettevano una migliore e più duratura visuale dei corridori.
Mentre sorseggiava l’aranciata amara di cui consumava intere casse per la gioia degli alimentari sotto casa, rimaneva davanti alla TV come incantato ad ammirare le imprese dei campioni e la generosità dei gregari, imparando storie, immagazzinando aneddoti da raccontare agli amici della sua comitiva. Alcuni affascinati dalle sue epiche narrazioni, che troviamo trascritte nel libro. Altri inizialmente poco interessati ma mano a mano sempre più coinvolti e contagiati dal suo entusiasmo. Altri ancora, irrimediabilmente annoiati dall’argomento, facevano finta di ascoltarlo, pensando in realtà a tutt’altro, solo per buona educazione, per rispetto della loro amicizia, con la speranza, quasi sempre delusa, che Gino si stancasse presto di idolatrare le virtù pedalatorie dei suoi beniamini e iniziasse a parlare di altro. Di qualunque cosa ma altro.
Attraverso il filtro del suo racconto vengono ripercorse le fasi salienti di tutte le edizioni della corsa a tappe dal 1979 al 2017, facendo rivivere al lettore molte delle emozioni che i corridori hanno saputo regalare in quell’arco temporale sulle strade d’Italia e che restano scolpite anche nella mente e nel cuore di chi vi scrive: ad esempio la sorprendente vittoria nel 1990 di Gianni Bugno, che conservò la maglia rosa dal primo all’ultimo giorno, dimostrando con la sua innata classe di non essere solo e semplicemente un corridore da gare in linea, da prove di un giorno, ma un ciclista completo in grado di aggiudicarsi ogni tipo di competizione; l’exploit nel 1991 di Franco Chioccioli, soprannominato Il Coppino per la sua vaga somiglianza con Fausto Coppi, capace di piegare l’agguerrita concorrenza di Bugno e Claudio Chiappucci che l’anno precedente aveva vestito per molti giorni la maglia gialla di leader al Tour de France dopo una fuga-bidone, ossia una fuga di comprimari cui i migliori lasciano margine non temendoli per la classifica finale; i successi a ripetizione di Miguel Indurain, il gigante di Navarra, specialista delle cronometro e passista eccezionale, uomo dai pochi sorrisi ma molto generoso che nonostante le sua netta superiorità si “accontentava” dei successi finali, lasciando ad altri le vittorie di tappa e dei traguardi intermedi al contrario di altri celebri cannibali di questo sport.
E poi il 1998, l’anno del trionfo di Marco Pantani che riuscì a battere la sfortuna che lo aveva sempre messo fuorigioco o frenato nelle edizioni precedenti, a sconfiggere campioni come lo svizzero Alex Zulle, a fiaccare la ardua resistenza del russo Pavel Tonkov sul cui volto non si intravedeva mai una seppur lieve smorfia di fatica. Un successo strameritato e entusiasmante replicato appena un mese più tardi al Tour de France, a sugellare una doppietta storica – Giro e Tour – ad oggi non ancora realizzata da nessun altro ciclista dopo di lui.
Un’apoteosi cui seguirà il dramma del Giro 1999, dominato in lungo e in largo dal Pirata poi fermato a Madonna di Campiglio, ad un passo dal traguardo finale, per la nota vicenda dell’ematocrito dai valori fuori norma, sulla quale ci auguriamo possa essere fatta il più velocemente possibile definitiva chiarezza.
Dopo Pantani, molti spettatori che si erano avvicinati alla corsa rosa e al ciclismo grazie alle sue straordinarie imprese in salita, al suo stile di corsa coraggioso e arrembante, se ne allontanarono nuovamente preferendo frequentare altri lidi. Non di certo Gino che non hai mai abbondonato il suo divano, sempre fedele a quell’amore per il Giro che ha attraversato tutte le fasi della sua vita, dalla fanciullezza fono alla maturità.
IL GIRO D’ITALIA SUL DIVANO
di Francesco Cavalieri
QUDU – 324 pagine
Euro 15,00
Foto copertina – Un dettaglio dalla copertina del libro.