L’allenatore del Borussia Dortmund sale assieme al suo vice i gradini che portano sul terreno di gioco del Bernabeu. Non crede a quello che sta vedendo.
“Ma in Spagna si fanno come da noi i pesce d’aprile?”
“No, Nevio. Non mi pare. Sicuramente non oggi, non il primo aprile”.
“Questo degli ultras del Real Madrid sarebbe in ogni caso di pessimo gusto”.
“Si sono attaccati alla rete della curva e hanno buttato giù la porta di gioco”.
“Incredibile, completamente spaccata. E ora?”.
Siamo in semifinale di andata della Champions 1998, mica in spiaggia: non si può giocare a una porta sola partendo da 11, gioco che in Germania è il hochball e in Italia si chiama, per quegli strani scherzi che fa la lingua, “tedesca”. Piuttosto si potrebbe non giocare e vincere così la partita a tavolino. L’impianto del Bernabeu non ha a disposizione una terza porta – non è ancora obbligatorio – e i minuti continuano a passare.
Nevio Scala ha mani grosse da contadino e non ha mai avuto paura di salire sul trattore per lavorare i suoi campi di Lozzo Atestino. Della sua terra gli è rimasto addosso una logica signorile. Nella vita non esistono scorciatoie. Un suo dirigente gli fa: “Lorenzo Sanz è amico del nostro presidente. Gli ha chiesto di giocare”.
“Allora aspettiamo”. Il Borussia è pieno di assenze e ha ormai, al contrario del Real Madrid, la pancia piena. L’anno prima la Coppa dei Campioni l’ha vinta e pochi mesi fa anche quella Intercontinentale. Un altro allenatore, un altro uomo, avrebbe spinto per avere la vittoria senza giocare. 0-3, fuori casa.
Intanto Augustin Herrerin (delegato del campo) e Miguel Angel (ex portiere, oggi dirigente), scortati da 8 uomini della policias nacionales, hanno lasciato il Bernabeu in direzione del campo d’allenamento. “Sì, ma a quest’ora come entriamo?”
Lì fuori Candido Gomez e suo nipote Juan Manuel stanno lavorando. “Ci date una mano, vero?”
Utilizzano il camion come ariete per entrare nella cittadella sportiva, recuperano la porta e la trasportano ad una velocità folle al Bernabeu. A fatica, dopo alcune manovre abbastanza disinvolte, il gruppo riesce a farla entrare nel terreno di gioco. Allo stadio si festeggia come avesse segnato Raul.
La porta è qualche centimetro più bassa di quella regolamentare, ma l’unità di misura per il contadino è l’ettaro. Nevione continua a non fare storie.
La porta viene montata e si inizia a giocare con 75 minuti di ritardo. A quell’ora il tedesco medio è già a letto, al massimo in poltrona a guardare un telefilm perché questo è anche l’anno della venticinquesima e ultima stagione dell’ispettore Derrick. Belli svegli, purtroppo per il Borussia, sono Morientes e Karembeu, che con i loro gol ipotecano la finale di Amsterdam. Karembeu il gol lo fa proprio nella porta appena sostituita.
Contro la Juve il Real ci arriverà da sfavorito, ma grazie ad un gol di Mijatovic porterà a casa la coppa dopo 32 anni. A Madrid la chiamano la Septima – non c’è mai bisogna di nominarla da quelle parti, basta l’aggettivo per capire di cosa si parla – una coppa spartiacque. Perché dopo il lunghissimo digiuno che era diventato ossessivo ne vincono altre 5/6 nei vent’anni successivi.
Foto copertina – Una delle due porte del Bernabeu non regge l’urto dei tifosi dei blancos. (www.mundodeportivo.com)