Buon compleanno, Fabrizio Ravanelli

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La corsa prorompente e un po’ ingobbita con la quale puntava difese e porte avversarie. Il sinistro preciso e potente con cui segnava in ogni stagione un buon numero di reti. L’esultanza sfrenata dopo ogni gol con le braccia divaricate e la maglia a coprire il volto e la distintiva chioma brizzolata. Ce lo ricordiamo così in campo Fabrizio Ravanelli, uno degli attaccanti italiani più prolifici degli anni ‘90, che oggi compie 54 anni.

Lo abbiamo conosciuto durante l’edizione 2016 di Overtime e ne abbiamo apprezzato la disponibilità, la lucidità nel raccontare e giudicare il suo passato sportivo, una schiettezza che probabilmente durante la carriera gli ha anche causato qualche grattacapo, in un mondo, quello calcistico, dominato dal politicamente corretto e dalla banalità di frasi fatte, trite e ritrite, sempre uguali a se stesse, che non alimentano nessuna riflessione e critica costruttiva.

Ravanelli nel backstage di Overtime. (Foto Overtime)

A Ravanelli nulla è stato regalato. Fin da quando ancora adolescente, entrato nelle giovanili del Perugia, raggiungeva quotidianamente il centro sportivo in cui si tenevano gli allenamenti in autostop, portando con sé il panino preparato dalla mamma. Per la sua crescita umana e professionale sono stati fondamentali la famiglia e il padre che lo hanno accompagnato e sostenuto passo dopo passo, dispensandogli consigli e l’insegnamento primario che tutto nella vita va guadagnato, sudato. E così, proprio in quest’ottica, dopo una partita in cui Ravanelli bambino non si era molto impegnato, il padre a 4/5 chilometri da casa non ci pensò due volte a farlo scendere dall’auto per fargli concludere a piedi il tragitto restante, per fargli fare quella fatica precedentemente disdegnata e aggirata sul rettangolo di gioco.

Dopo tanti anni di dura gavetta nelle serie inferiori, dopo essersi messo in mostra a Perugia, Caserta e Reggio Emilia, l’approdo alla Juventus, fortemente caldeggiato dal Presidente Giampiero Boniperti, che aveva intravisto in quel ragazzo le doti necessarie per sfondare. Un arrivo a Torino comunque avvenuto piuttosto in sordina, nel bel mezzo di una campagna acquisti che aveva regalato alla squadra bianconera calciatori più titolati e dai nomi ben più altisonanti tra i quali Gianluca Vialli, Dino Baggio, David Platt, Andreas Möller.

Inizialmente relegato da Giovanni Trapattoni in panchina, considerato la riserva delle riserve in una rosa che poteva contare su un parco attaccanti molto profondo, nella sua prima stagione bianconera contribuì comunque con gol importanti alla vittoria della Coppa UEFA. Ciò gli valse la riconferma per l’annata seguente in cui, anche sfruttando la cessione di Casiraghi, aumentò via via minutaggio e numero di reti segnate. Senza però essere ancora del tutto appagato, perché avvertiva intorno a sé ancora poca fiducia da parte di un ambiente che lo considerava semplicemente un gregario e non molto di più.

Esaltato dalla occasione più unica che rara di giocare per la squadra per cui aveva tifato fin da bambino, Fabrizio con ostinazione e grinta si migliorò quotidianamente, allenò il piede debole, quello destro, affinò le qualità tecniche, apprese come una spugna tanti trucchi del mestiere dai campioni con cui giocava. Con l’obiettivo di diventare non più un semplice elemento, un ingranaggio di quella formazione, ma un assoluto protagonista.

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“Penna Bianca” a Macerata mentre racconta la sua carriera ad Overtime 2016. (Foto Paola Locatelli)

Ci riuscì pienamente quando a guidare la Juve arrivò Marcello Lippi che fece di Penna bianca una pedina inamovibile del suo tridente insieme a Gianluca Vialli e Alessandro Del Piero ben presto preferito a Roberto Baggio. Nel 4-4-3 lippiano, in cui gli attaccanti dovevano sacrificarsi e svolgere sia la fase offensiva che quella difensiva per novanta minuti, Fabrizio diede il meglio di sé, dimostrandosi un campione a tutto campo, che riusciva ad abbinare qualità e quantità, gol e recuperi sulla fascia. Diventò un idolo assoluto dei tifosi che gli intinavano e dedicavano a ripetizione il coro “Nella curva della Juve c’è una grande novità, è Fabrizio Ravanelli grande amico degli ultrà!”.

Nel corso di due fantastiche stagioni la Vecchia Signora conquistò nel 1995 uno scudetto che mancava a Torino da 9 interminabili anni e nel 1996 la Champions League. Nella finale giocata all’Olimpico di Roma contro l’Ajax e poi conclusasi con la vittoria della Juve ai calci di rigore, Fabrizio fu artefice di una buonissima prestazione, segnando il bellissimo gol del momentaneo 1-0 da posizione molto defilata.

Ravanelli a quel punto sembrava destinato a diventare per lungo tempo una bandiera della squadra. E invece arrivò il colpo di scena che sorprese e spiazzò tutti: nell’estate successiva alla finale senza tante spiegazioni venne ceduto al Middlesbrough in Premier League per 18 miliardi di lire, di gran lunga l’acquisto più oneroso nella storia del club inglese. Qualcuno arrivò persino a ipotizzare che gli fu “fatale” il linguaggio particolarmente scurrile con cui reagì a uno scherzo organizzato ai suoi danni dalla popolare trasmissione televisiva Scherzi a parte e considerato dalla società non in linea, non confacente allo stile Juventus. Congetture piuttosto fantasiose, comunque senza alcun riscontro.

Molto più probabilmente la Juventus della Triade, molto attenta ai bilanci e poco sensibile alle esigenze delle bandiere ed altri sentimentalismi, aveva in realtà semplicemente fiutato e colto al volo l’opportunità di fare cassa con quella cessione, al contempo prevedendo per il futuro acquisti di attaccanti più giovani.

Ravanelli visse quel trasferimento come un trauma, un tradimento. Ma certamente non lesinò grande impegno anche nelle successive esperienze che lo videro protagonista all’estero, in un periodo storico in cui non era affatto usuale che un calciatore italiano “espatriasse”; dapprima, come detto, in Premier League al Middlesbrough e successivamente in Francia a Marsiglia, in una squadra infarcita di campioni con la quale raggiunse la finale di Coppa Uefa 1999 persa a Mosca contro il Parma di Malesani.

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Fabrizio Ravanelli all’età di 54 anni. (Foto Panathlon Club Macerata)

Tornato in Italia, nel 2000 con la Lazio conquistò all’ultima giornata di campionato uno storico scudetto, approfittando della sconfitta della Juve a Perugia – proprio i suoi due ex club di militanza – dopo il “famoso diluvio” e la decisione dell’arbitro Collina di far riprendere la partita a seguito di una lunga sospensione.

In un’epoca in cui la convocazione nella Nazionale Italiana si conquistava dopo anni e anni di sacrifici e ripetute stagioni ad alto livello, e non come oggi dopo appena 3 o 4 buone prestazioni, con la maglia azzurra ha totalizzato 22 presenze e 8 gol. Trovò in particolare spazio nelle squadre allenate da Arrigo Sacchi e Cesare Maldini con la sfortuna e il grande rammarico, dopo aver giocato il girone di qualificazione da protagonista, di non aver potuto partecipare ai Mondiali di Francia 1998 a causa di una broncopolmonite di origine batterica piuttosto seria.

A 54 anni Ravanelli con toni pacati e interventi apprezzati commenta le partite della Champions League in televisione. Ama ancora molto il calcio, sebbene profondamente cambiato rispetto a quello di cui ha fatto parte, affiancandogli la passione per il ciclismo che lo impegna diverse ore al giorno in duri allenamenti e che l’ha portato a partecipare con successo a varie gran fondo.

 

Foto copertina – Fabrizio Ravanelli si esibisce nella sua iconica esultanza in finale di Champions. (Foto di autore sconosciuto da Champions League, in pubblico dominio)

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