Podismo, democraticità, effetto Dunning-Kruger e altro

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di Claudio Bagnasco

Pare dunque che ci si incontrerà venerdì 9 ottobre all’Overtime Festival.

Un momento: chi incontrerà chi? Giusto. Voi incontrerete noi. E d’accordo, d’accordo, noi incontreremo voi.

Buoni, stavolta gioco d’anticipo: e chi saremmo, noi? Noi saremmo – anzi, saremo – Saverio Fattori, Gastone Breccia, Marco Patucchi, Cesare Picco e me che sto scrivendo queste righe, Claudio Bagnasco. A cui vanno aggiunti Roberto Weber, Luca Grion e Paolo Maccagno, che per un motivo o per l’altro non potranno essere dei nostri, ma che idealmente porteremo con noi.

Siamo, noi, tizi che fanno svariati mestieri – chi lo storico, chi il professore universitario, chi il giornalista, chi il redattore, chi lo psicologo dello sport… -. Ci accomunano la pratica amatoriale del podismo e il fatto che abbiamo declinato la passione per questo meraviglioso sport pubblicando libri e articoli sull’argomento. Per la precisione: un libro ciascuno sull’argomento tranne Marco, che ne ha scritti due. E tutti, sull’argomento, abbiamo scritto e continuiamo a scrivere una quantità di cose apparse qui e là: Saverio, per dire, è una delle più prestigiose firme del mensile Correre.

Saremo sul palco dell’Overtime Festival in rappresentanza – bella responsabilità – del mondo podistico amatoriale. E giacché la parola-guida di questa edizione del festival sarà “tempi, mi sento di garantire che comporremo un ventaglio piuttosto ampio: se consideriamo i tempi sia in senso anagrafico – tra il più e il meno giovane di noi passano trent’anni – che in senso cronometrico – dal più veloce al più lento di noi passa, in maratona, oltre un’ora.

Ecco. Il fatto che questo manipolo così disomogeneo apparirà compatto sul palco dell’Overtime, e il fatto che tra i suoi componenti ci sia reciproca cordialità se non, in alcuni casi, amicizia, ci fa subito entrare nel cuore della questione di cui voglio brevemente parlarvi: la democraticità del podismo.

Da qualche tempo – e tre – si è notato da più parti come le prestazioni medie dei corridori amatoriali – perdonatemi se non adopero la parola runner ma sono un manovale della lingua italiana, alla quale mi lega profondo e antico affetto – siano drammaticamente calate. Tuttavia, la corsa è diventata un fenomeno sociale: sempre più persone corrono, chi non corre ha imparato a guardare con benevolenza a noi podisti – tranne in questa sfortunata primavera, ma si sa che nei periodi di difficoltà facciamo ricorso al nostro lato più istintivo -, e sulle strade è bello vedere incrociarsi, e magari salutarsi reciprocamente, un buon atleta che avanza agevolmente a 4’00” e un anziano sovrappeso che caracolla nella speranza di perdere qualche etto.

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I veri podisti non hanno mai mollato, neppure in questa sfortunata primavera. (huffingtonpost.it)

Una parentesi a beneficio dei non addetti ai lavori: mai rivolgersi a un podista parlando, per esempio, di quindici chilometri orari. Vi guarderebbe senza capire. Ma se gli dite “Correre a 4’00” – che è la stessa cosa: significa infatti correre un chilometro in quattro minuti, ossia ai quindici all’ora –  vi spalancherà un sorriso d’assenso.

Torniamo al buon atleta e al tizio sovrappeso che caracolla. Mi pare che la loro compresenza sia la lieta testimonianza di tante cose belle: ci dice intanto che la corsa è – può essere, deve essere – affare di tutti, e fin lì ci siamo. Ma c’è dell’altro. Più le strade si popolano di podisti, e di podisti con differenti dotazioni atletiche, e più – come dire – la corsa versa sé stessa sul mondo, ci mostra inequivocabilmente la sua caratteristica di azione naturale, necessaria: correre è andare per via, ma andarci in modo non funzionale, bensì al solo scopo di andare. È un’attività che consuma il proprio significato in se stessa; è un’attività, come non si stanca di ripetere il bravo Pietro Trabucchi nei suoi sempre interessanti libri, che si basa sull’automotivazione, o motivazione intrinseca. È un’attività, per dirla in modo ancora più frontale, splendidamente inutile, giacché è ormai assodato che confondiamo l’utilità – pare questo il nostro sport preferito, da un po’ di tempo a questa parte – con la produzione di significati, col collezionare pensieri e azioni funzionali ad altro.

Evviva, perciò, la corsa, disciplina quanto mai democratica, che peraltro declina la propria orizzontalità nelle gare: quale altro sport conoscete, nel quale i campioni partono assieme ai più modesti dilettanti?

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La corsa, ormai, è affare proprio di tutti. (prischew.com)

Però poi c’è il rovescio della medaglia, dobbiamo esserne consci. Il fatto che la corsa sia diventata uno sport sociale, che coinvolge cioè sempre più persone le quali abbassano sempre di più il livello medio, fa correre un rischio che potremmo chiamare il compiacimento dell’amatore. È quella diffusa inclinazione a iscriversi alle competizioni podistiche del tutto impreparati dal punto di vista fisico – del tutto impreparati rispetto alle proprie autentiche possibilità atletiche, si intende – per il solo piacere di prendere parte a un evento, ansiosi di rilanciare la propria impresa – ma che impresa è, senza sforzo? – sui social. Ecco: qui non ci siamo.

Ciascun amatore ha un determinato equipaggiamento fisico e un certo tempo a disposizione per allenarsi, d’accordo. Ma in virtù di quell’equipaggiamento fisico e di quel tempo ha il dovere, in primo luogo verso se stesso, di impegnarsi il più possibile, di impegnarsi sino a intravedere i propri limiti. Perché? Perché la vita è una sola, e mi pare sventata l’idea di limitarsi ad assaporarne la superficie quando si avrebbe la possibilità di gustarne il nucleo più profondo e sapido. Più in concreto: la corsa sprigiona tutta la sua stupefacente bellezza solo se la si vive con abbandono, e abbandonarsi alla corsa significa faticare. Ciascuno secondo le proprie possibilità, naturalmente. Compito per casa: allenatevi per una maratona e poi ditemi se vi ho raccontato delle frottole.

Dopo di noi salirà sul palco Alberto Cova, campione grandissimo che non ha certo bisogno della mia presentazione. Ho letto il libro che Alberto presenterà, nel quale viene confermata l’attitudine quasi maniacale del suo autore alla fatica. Solo con l’applicazione costante, c’è poco da fare, si può dire di conoscere a fondo una disciplina; tuttavia, per colpa del simpatico effetto Dunning-Kruger – per approfondire il quale vi rimando a Wikipedia, perdonate ma abbiamo problemi di spazio -, sono proprio gli amatori più incostanti e improvvisati a disquisire di corsa con presunta autorevolezza.

Il grande Alberto Cova, ospite dell’edizione 2020 di Overtime Festival. (oaport.it)

Per cui, piantandola di divagare e tirando le somme: benissimo che sempre più persone corrano. Ogni persona in più che corre, come ci ricorda il mio amico e maestro Fulvio Massini, facilmente sarà una persona in meno esposta a problemi cardiocircolatori e quant’altro. Ogni persona in più che corre è un’ulteriore conferma del carattere essenziale e primigenio della corsa. Tuttavia, ogni persona in più che corre aumenta il rischio di un livellamento verso il basso: non certo della media cronometrica, che dovrebbe importarci poco, quanto della consapevolezza della preziosità della corsa. Che, se vissuta con quella dedizione di cui abbiamo appena parlato, ci pone al cospetto dei nostri limiti; o meglio, pone il nostro io sull’orlo di un baratro, e così ho citato quel formidabile libro che è “Lungo lento. Maratona e pratica del limite” di Paolo Maccagno, uno dei nostri tre sodali che non potranno essere con noi venerdì 9 ottobre.

Lo so, ho messo un bel po’ di carne al fuoco, come direbbe un giornalista alle prime armi, incline alle metafore logore. Non traggo qui conclusioni, sia perché la corsa è, per fortuna, un’immensa opera aperta, sia perché avremmo modo di continuare questa chiacchierata, articolandola meglio e mettendola meglio a fuoco – dal momento che c’è un fuoco acceso per la carne, sfruttiamolo – proprio venerdì 9 ottobre sul palco dell’Overtime Festival, con i miei quattro compagni di strada e con chi, tra voi, vorrà esserci.

Nel frattempo, buone cose e buone corse a tutti.

 

Foto copertina – ilsole24ore.it

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Un commento

  1. […] differenze di orientamento sessuale, religioso, etnico, economico. GEOpard non giudica. GEOpard è per tutti. Per chi si approccia alla corsa e per chi corre già da tempo; per chi si pone degli obiettivi e […]

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