Il martedì in cui Bologna sportiva raggiunse la vetta

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dall'ara

Ricordo benissimo il 20 aprile 1999, un martedì di primavera indimenticabile non solo per i suoi tanti appassionati di sport, ma per un’intera comunità, per tutta la città di Bologna.

Ero riuscito ad accaparrarmi un biglietto per assistere, allo stadio Renato Dall’Ara, alla semifinale di ritorno di Coppa Uefa Bologna-Marsiglia, con il tagliando in curva Andrea Costa pagato 15mila lire – sì avete letto bene, appena 15mila lire per un evento del genere. Felice preistoria, in cui era addirittura possibile la circostanza per cui una squadra di provincia come il Bologna si giocasse l’accesso ad una finale europea, così distante dalla realtà del calcio di oggi, in cui i grandi titoli nazionali e internazionali vengono inesorabilmente conquistati sempre dalle stesse poche e ricchissime squadre foraggiate da sceicchi, oligarchi, fondi sovrani vari.

Dopo lo 0-0 dell’andata e con una qualificazione tutta da giocare, in città si avvertiva un’adrenalina palpabile, accentuata dai timori per l’ordine pubblico dovuti all’arrivo di migliaia di tifosi marsigliesi, in rappresentanza di una delle curve più calde e turbolente d’Europa. Molti supporter francesi giunsero in città con un treno speciale, più volte fermato, controllato e ispezionato dalla polizia italiana, altri con mezzi propri, invadendo Piazza Maggiore e le vie del centro storico bolognese con cori, bandiere, passione e colori.

Il colpo d’occhio intorno allo stadio era quello tipico dei giorni migliori. In un’epoca in cui non esistevano tornelli e biglietti nominali, già tre ore prima del fischio d’inizio una folla di tifosi si era assembrata davanti agli ingressi dell’impianto, in attesa dell’apertura dei cancelli, pronta a scattare per assicurarsi i migliori posti possibili in curva.

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La caratteristica Torre di Maratona dello Stadio Dall’Ara.

Molti sostenitori rossoblu entrarono al Dall’Ara muniti di radioline, dalle quali non riuscivano a distogliere orecchie e attenzione, perché, incredibile ironia della sorte e a causa di calendari sportivi molto poco armonizzati tra loro, quello stesso irripetibile giorno, alle ore 18:30, si disputava, a 545 chilometri di distanza da Bologna, all’Olympiahalle di Monaco di Baviera, un altro evento che avrebbe fatto epoca: la semifinale di Eurolega Virtus-Fortitudo, il derby per antonomasia giocato nella più prestigiosa ribalta europea. La vincitrice di quella partita avrebbe giocato la finalissima della competizione, in un’epoca dorata in cui le due squadre felsinee di basket si contendevano, a suon di miliardi di lire spesi e migliori giocatori sulla piazza acquistati, primato cittadino, trofei nazionali e internazionali.

Bologna sportiva e non solo conosceva in quel momento il suo apogeo continentale, raggiungeva in due sport diversi e molto popolari vette altissime che successivamente non avrebbe più esplorato. Chissà quanti sportivi avrebbero voluto avere il dono dell’ubiquità quel giorno, assistere ad entrambe quelle sfide così importanti e prestigiose. Bologna è sicuramente Basket City, una città che nutre per la pallacanestro una passione viscerale, la quale però non scalfisce affatto un amore diffuso, duraturo e inossidabile per la sua squadra di calcio, che le ha regalato soddisfazioni, sette scudetti e due Coppe Italia, che ha visto giocare tra le sue fila campioni come Angelo Schiavio, Giacomo Bulgarelli, Ezio Pascutti.

Allo stadio trentottomila spettatori sostenevano all’unisono, fino a perdere la voce, il Bologna passato in vantaggio nelle fasi iniziali grazie a un destro micidiale di capitan Michele Paramatti. Ogni tanto, di gradone in gradone, con il passaparola, giungevano aggiornamenti sulla partita di Monaco e non mancavano sfottò e prese in giro tra chi parteggiava Virtus e chi Fortitudo. Quelle contese verbali, i pronostici su chi l’avrebbe spuntata, duravano la frazione di qualche secondo, perché poi l’attenzione tornava là, sul rettangolo di gioco. C’erano i ragazzi guidati da Carlo Mazzone e trascinati da Giancarlo Marocchi e Beppe Signori da sostenere.

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Beppe Signori, il bomber di quel Bologna, in occasione di Overtime Festival 2021.

Quasi contemporaneamente a Monaco, in un palazzetto gremito da diecimila bolognesi, si giocò una partita tesa, dominata dalla tensione, con le difese a sovrastare gli attacchi, a sporcare le giocate. La posta in palio era alta, il match preceduto dalle abituali polemiche a mezzo stampa tra due presidenti – Alfredo Cazzola delle V nere e Giorgio Seragnoli della Fortitudo – che di certo non si amavano, pronti a svenarsi pur di battere l’uno l’altro. Alla fine, dopo un’autentica battaglia, a spuntarla furono i bianconeri, con il basso punteggio di 62-57.

Per i fortitudini la delusione fu enorme. Alcuni si resero anche protagonisti di un deprecabile lancio di fumogeni in campo che non spaventò un giocatore temprato da mille battaglie come Sasha Danilovic, che raccolse uno di quei bengala e ne fece sfoggio davanti al pubblico come se si trattasse di un trofeo, come simbolo di vittoria.

Per i tifosi dell’Aquila non ci fu neppure la consolazione della qualificazione del Bologna, raggiunto sull’1-1 dal Marsiglia a pochi minuti dalla fine della partita, in virtù di un rigore realizzato da Laurent Blanc. Un risultato che non rese merito ai rossoblù, che nel complesso delle due sfide avrebbero meritato miglior sorte, avendo tenuto testa alla squadra francese infarcita di stelle come Dugarry, Ravanelli, Pires, Domoraud. La partita finì con una rissa da far west che, divampata tra i giocatori delle due squadre sulla via degli spogliatoi, richiese per essere sedata l’intervento della polizia e costò pesanti squalifiche al Marsiglia che si sarebbe poi presentato a giocarsi la finale del torneo a Mosca contro il Parma di Malesani senza cinque titolari fermati del giudice sportivo.

Si conclusero così la fantastica avventura europea del Bologna e un martedì che a 23 anni di distanza appare sempre più come unico e irripetibile.

 

Foto copertina – Una panoramica dello stadio Dall’Ara dalla salita che conduce al Santuario della Madonna di San Luca.

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