Blanka Vlašić, orgoglio e simbolo di un Paese intero

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blanka vlasic

Sempre estremamente concentrata prima di ogni salto, lasciando trasparire fierezza e mai tensione o incertezza sul volto, fissando con i suoi occhi verdi smeraldo la pedana di gara e quell’asticella che segna il confine tra vittoria e sconfitta. Intenta a ripassare mentalmente il gesto tecnico, le movenze, i passi della ricorsa. Invocando, richiamando, con il battito ritmato delle mani, il sostegno, la complicità del pubblico per caricarsi, sentirsi accompagnata e sospinta in ogni salto, in ogni volo. E poi, dopo ogni impresa, ogni vittoria, dopo una misura importante superata, immediatamente pronta a ricambiare l’affetto degli spettatori, continuando a dare spettacolo, esibendosi in quel balletto tutto suo, la Blanka-Dance, espressione di grazia, esuberante bellezza, esplosione di una gioia da mostrare e non da trattenere, sfogo della tensione accumulata durante tutta una gara.

Ce la ricordiamo così Blanka Vlašić, la campionessa di salto in alto che oggi compie 39 anni e che ha ufficializzato il suo addio alle competizioni nel 2021, rinunciando suo malgrado al sogno di partecipare alle Olimpiadi di Tokyo. Una decisione sofferta e ponderata, presa molto serenamente, influenzata dai tanti, troppi infortuni che hanno costellato e tormentato la carriera di questa straordinaria protagonista dell’atletica leggera mondiale.

Per il suo Paese, la Croazia, la Vlašić non è stata semplicemente e solamente un’atleta, ma punto di riferimento, orgoglio, un simbolo in cui identificarsi, dopo l’indipendenza raggiunta e gli anni tragici, bui e tormentati della guerra. Durante le sue gare tutta la Nazione si è fermata a tifare per lei, così come avveniva per le discese di Janica Kostelic, le vittorie della pallanuoto, le partite della Nazionale di calcio che in quegli anni espugnava Wembley, eliminando l’Inghilterra dagli Europei 2008. Un amore che Blanka ha ricambiato con affetto, sentendosi investita di una missione che ha portato avanti con convinzione e abnegazione. «C’è ancora gente che mi chiede: dov’è sul mappamondo il tuo Paese? Sono fiera, attraverso lo sport, di farlo conoscere» ha avuto modo di dichiarare durante la sua carriera.

Alta 193 centimetri, gambe lunghissime e sinuose, fisico statuario, la ragazza di Spalato è stata avviata all’atletica dal padre Joško, ex decatleta, che avrebbe voluto chiamarla Casablanka in onore della città in cui aveva ben figurato durante l’edizione 1983 dei Giochi del Mediterraneo. Circostanza evitata solo grazie all’intervento “salvifico” della nonna che convinse Joško a optare per un’abbreviazione di Casablanka, per un decisamente meno impegnativo Blanka.

I successi arrivarono presto. Per ben due volte divenne campionessa mondiale nella categoria juniores e nel 2000, appena diciasettenne, partecipò a Sydney alla sua prima Olimpiade. Un’esperienza altamente formativa, da cui imparò a confrontarsi con le migliori saltatrici al mondo, con la consapevolezza che il gap allora esistente potesse essere colmato con gli allenamenti, la disciplina, l’immenso talento.

La carriera ad altissimi livelli della Vlašić si è dipanata in due fasi diverse e ben distinte:

2007–2011

Il periodo delle grandi vittorie. Blanka si rivelò al mondo conquistando l’oro ai Mondiali di Osaka, in cui a essere seconda fu una straordinaria Antonietta di Martino. Un’atleta mai celebrata per quanto avrebbe meritato nel nostro Paese, anche considerando il dato rilevante che ottenne risultati eclatanti nonostante dovesse competere con ragazze molto più alte di lei e con strutture fisiche molto più imponenti della sua.  Nel 2008 Vlašić si presentò alle Olimpiadi di Pechino da grande favorita ma venne sorprendentemente battuta da Tia Hellebaut, l’atleta belga che aveva la caratteristica di saltare indossando gli occhiali da vista. Una medaglia d’argento ma anche un’innegabile delusione per Blanka. Un appuntamento che sembrava solo rinviato con l’oro olimpico. Che invece, rincorso per una vita, non verrà mai raggiunto.

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Blanka Vlašić al meeting Istaf di Berlino nel 2008. (Foto di az1172, CC BY-SA 2.0 DEED)

Blanka, battendo la rivale di una vita, la russa Anna Chicherova poi squalificata per doping, si confermò ai vertici della specialità nel 2009 a Berlino, l’edizione dei Mondiali resa indimenticabile dalla tripletta d’oro e dai record stratosferici e ancora imbattuti di Usain Bolt, che con prestazioni monstre abbassò di 11 centesimi i primati mondiali dei 100 e dei 200 metri piani, fissandoli rispettivamente a 9’’58 e 19’’19.  A completare il quadro dei trionfi della croata l’oro europeo nel 2010 a Barcellona e l’argento ai Mondiali di Daegu nel 2011. Un’impressionante costanza di rendimento che lasciava presagire ancora tante annate contraddistinte da vittorie e soddisfazioni.

2012–2016

Come spesso accade nello sport, nulla però può essere dato per scontato. Già alla fine del 2011 la campionessa di Spalato iniziò ad avvertire un terribile dolore alla caviglia della gamba sinistra, quella usata per staccare. Il fastidio era talmente accentuato da pregiudicarle non solo le prestazioni sportive ma anche il compimento di semplici gesti della vita quotidiana. Si susseguirono diversi interventi chirurgici, mai pienamente risolutivi del problema. Anzi, contribuirono ad aggravare la situazione un’infezione alla caviglia operata e altri guai al tallone, al tendine d’Achille e alla tiroide. Fu così costretta a rinunciare alle Olimpiadi di Londra 2012, non potendo più inseguire il sogno dell’oro olimpico cullato da ben quattro anni. E anche la stagione 2013 saltò completamente.

Ne derivò una crisi profonda, interiore ed esistenziale. Abituata ad incentrare fin da piccola tutta la sua vita sullo sport, cominciò a chiedersi chi fosse, quale senso e valore avesse la sua esistenza al di là del salto in alto. Senza trovare una risposta. Sentendo dentro sé stessa solo un enorme vuoto. Nonostante ricevesse le attenzioni e le premure di familiari e tifosi, si sentiva sola e si rinchiuse nella sua stanza, lontana dal mondo e dagli affetti. Uno stato depressivo da cui uscì attraverso una ritrovata fede in Dio, dopo essere stata convinta a frequentare la Chiesa Cattolica dal fratello maggiore Marin, che come lei aveva conosciuto problemi di salute legati alla pratica sportiva. Un’esperienza molto intima che ha raccontato con gioia in molte occasioni ed interviste, che le fece ritrovare il sorriso e vivere l’atletica con più naturalezza, senza più l’ossessione di un tempo, come una parte importante ma non più assolutizzante della sua vita.

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Blanka ai London Anniversary Games del 2014. (Foto di joshjdss, CC BY 2.0 DEED)

Al rientro dall’infortunio, con questa nuova consapevolezza, trascinata da questa carica emotiva e spirituale, conquistò un argento ai Mondiali di Pechino 2015 e soprattutto un insperato bronzo ai Giochi olimpici di Rio de Janeiro 2016, nonostante i pochissimi mesi di preparazione successivi all’ennesimo intervento chirurgico alla solita caviglia.

Nel 2021, ancora afflitta da guai fisici, la Vlašić ha sentito che fosse arrivato il momento di dire basta, di voltare definitivamente pagina, forte di una solida forza interiore. Ha salutato tutti gli appassionati di atletica leggera con tante medaglie vinte e la seconda misura della storia, il suo “personale” di 2 metri e 8 centimetri, realizzato il 31 agosto 2009 a Zagabria. Un solo centimetro dal record del mondo fissato a quota 2 metri e 9 centimetri nei Mondiali di Roma del 1987 dalla bulgara Stefka Kostadinova, altra figura iconica di questo sport.

 

Foto copertina – Blanka Vlašić festeggia il salto della vittoria a Berlino. (Foto di Grzegorz Jereczek da Gdańsk, Polonia, CC BY-SA 2.0 DEED)

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