Il Tour de France è l’appuntamento ciclistico dell’anno. Insieme alle classiche e al mondiale, la corsa francese è l’evento più importante che ogni ciclista sogna anche solo di potersi giocare. Grandi campioni come Hinault, Pantani, Nibali e Froome lo hanno vinto.
Nel Tour 2022 è nato però qualcosa di particolare. Una rivalità che ha visto contrapporsi il danese Jonas Vingegaard e lo sloveno Tadej Pogačar. Due facce della stessa medaglia, due destini uniti dal talento per la bicicletta. Il primo, soprannominato il danese di ghiaccio, scalatore puro, adatto per le corse da tre settimane e per le vette più alte. Il secondo più completo, con capacità anche di scattista, come dimostrano le numerose classiche vinte. Un cannibale adatto a tutti i terreni.
Pogačar nel 2022 si presentava al suo terzo Tour come l’uomo da battere. Aveva già vinto le due precedenti edizioni, annientando gli avversari nell’edizione 2021 e scrivendo la storia nel Tour 2020. Infatti, alla sua prima partecipazione, aveva sorpreso tutti vincendo tre tappe e ribaltando completamente la classifica nell’ormai famigerata cronoscalata alla Planche des Belles Filles, ai danni del connazionale Primoz Roglic. Vingegaard invece veniva dal buon secondo posto guadagnato alle spalle proprio dello sloveno nell’annata 2021, iniziando il Tour 2022 con i gradi di capitano insieme a Roglic.
Il percorso era interessante, faticoso ma con ampio spazio per i finisseur e gli scattisti. Le prime cinque tappe, tre delle quali tenutesi in Danimarca, erano per velocisti o attaccanti da lontano, e videro il dominio di Van Aert, in maglia gialla già dalla seconda tappa e con cinque podi consecutivi.
Sono però la sesta e la settima tappa a scombinare le carte. Di solito gli uomini più attesi iniziano a mostrarsi dalla seconda settimana in poi, quando arrivano le salite vere e le vette più importanti. Non è questo il caso. Pogačar, infatti, infiamma subito la gara già a Longwy, dove stacca gli avversari sull’ultimo muro, vincendo tappa e maglia gialla. Stessa cosa si ripeterà il giorno dopo, al suo arrivo, quello sulla Planche des Belles Filles, stavolta più lungo, visti gli ultimi metri di sterrato aggiunti alla temibile salita.
È qui che iniziano le scintille tra lo sloveno e il danese. Sull’ultimo tratto, il più duro, Vingegaard tenta l’attacco sul gruppetto dei migliori, riuscendo a staccarli e a guadagnare qualche metro. Sembrava finalmente arrivato il degno avversario di Pogačar. Lo sloveno, però, con le ultime forze recupera lo svantaggio, vincendo la tappa e lanciando uno sguardo all’avversario, che però non lo ricambia, con il suo solito sguardo glaciale. È l’inizio di una sfida di nervi durata tre settimane. Pogačar aveva rimarcato la sua supremazia, ma allo stesso tempo aveva visto confermata la pericolosità del suo avversario, che già l’anno prima, nella tappa del Mount Ventoux, lo aveva messo in difficoltà.
Ferito nell’orgoglio lo sloveno nei giorni successivi mantiene un atteggiamento di sfida continua fino alla undicesima tappa, quella in cui cede lo scettro di Francia. Sul Col du Granon la Jumbo Visma riuscirà in quello che per tre anni era sembrato impossibile: rendere Pogačar umano e batterlo.
Sotto gli attacchi di Vingegaard e del connazionale Roglic, Pogačar alza bandiera bianca. Di fronte all’ennesima stilettata del danese, il vincitore del Tour in carica si stacca, e l’avversario inizia una crono personale fino al traguardo, vincendo la tappa e conquistando il simbolo del primato, la maglia gialla. Cercando di rispondere a entrambi su ogni attacco, Pogačar aveva sprecato energie nella giornata più calda del tour. L’unico difetto, la resistenza al caldo, che nella sua breve ma formidabile carriera ha dimostrato di avere.
Da quella tappa fino alla fine del tour la sfida si protrae su ogni salita, colle, discesa, perfino su ogni piccolo dosso. Ogni tentativo dello sloveno rimbalza contro la solidità granitica di Vingegaard, che non forza mai il gioco ma non si stacca un secondo dall’avversario come nella tappa 17, quella del Peyragudes, che vede Pogačar vincere “scortato” dal danese, trasformatosi ormai nella sua ombra. Solo con la tappa 18 la Jumbo decide di chiudere il Tour con una azione di squadra, rifilando a Pogačar un altro minuto sull’ultima salita importante del Tour, l’Hautacam.
Ma per il mondo del ciclismo Pogačar può tutto, soprattutto dopo quella crono di due anni prima con cui ribaltò il Tour. La situazione è infatti la stessa: alla penultima tappa c’è una cronometro individuale, terreno in cui lo sloveno va fortissimo. Per tutti 3 minuti e 26 secondi sono recuperabili, nonostante la difficoltà del percorso. Una previsione che si rivela sbagliata e che mostra invece Pogačar arrivare terzo dietro a Vingegaard. Quest’ultimo si rivela fortissimo anche nelle prove contro il tempo, e negli ultimi metri addirittura rallenta per non rubare il primo posto al compagno di squadra Van Aert, che scoppia a piangere di gioia. Una scena che rimarrà nell’immaginario collettivo, come quella della stretta di mano tra i due fenomeni.
Sì, perché nel mezzo della diciottesima tappa, l’ultima con un arrivo in salita importante, nell’ennesimo tentativo di attacco per la riconquista di secondi preziosi, Pogačar cade in discesa. Un’occasione per chiudere definitivamente il Tour senza doversi impegnare nell’ultima salita per Vingegaard, che però decide di aspettare l’avversario e procedere insieme fino all’ultima salita, dove solo le forze decideranno chi è il più forte. Una volta ricongiuntisi prima della salita le telecamere immortalano quella stretta di mano, simbolo di rispetto per il talento reciproco e una delle pagine più belle del ciclismo, quasi un remake del famoso passaggio di borraccia tra Bartali e Coppi.
Un tour che era iniziato quindi con un’occhiataccia, si conclude con la conferma che negli anni futuri a farci emozionare in questo sport c’è una coppia di fenomeni, amici ma avversari, diversissimi ma entrambi a loro modo campioni.
Foto copertina – Jonas Vingegaard e Tadej Pogačar. (Foto di Filip Bossuyt da Kortrijk, Belgium, CC BY 2.0)