La rivoluzione nel rugby. La solita minestra italiana e l’inno australiano

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Il 2020 si chiude con una sconfitta per la Nazionale italiana di rugby. Partita finita come tutte le altre di questo anno bisestile. La Nazionale ha chiuso la Autumn Nations Cup al sesto posto, perdendo con il Galles 38-18. L’ennesimo vorrei ma non posso. Il solito rimpianto di essersela giocata per un tempo. La costante speranza di un futuro più roseo.

Va bene che ci siamo abituati a cucinare con cucchiai di legno e mangiare la solita minestra, ma sono indispensabili cambiamenti. Un’analisi che dovrà necessariamente fare la Federazione. Un rugby, quello italiano, che ha vissuto un decennio caratterizzato da stadi pieni, un Olimpico casa di terzi tempi memorabili, merchandising alle stelle, sponsor e contratti importanti per i top player. Un movimento che purtroppo però non decolla, che non porta risultati. E allora per non vanificare quanto di buono è stato fatto serve una rivoluzione!

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L’ennesima sconfitta dell’Italrugby: Galles 38-18 Italia. (repubblica.it)

Rivoluzione già in atto in casa Wallabies. Per la prima volta nella sua storia è stato cantato l’innoAdvance Australia Fair” in Eora, l’idioma degli aborigeni appartenenti ai clan della zona di Sidney – ogni clan ha il proprio nome. Gli Eora abitano nella regione costale attorno a Sidney appunto. È accaduto ieri, in occasione della partita contro l’Argentina. Un salto quantico. Un riconoscimento alle comunità che popolavano il Paese prima dell’arrivo dei colonizzatori bianchi.

Una svolta epocale che ha visto la partecipazione di tutta la squadra che indossava per l’occasione la maglia aborigena. Un allenamento al canto di settimane con il supporto di una studentessa Wiradjuri della Newton Performing Arts School. La voce di Olivia Fox – cantante eora – e dei Wallabies. Non una diretta traduzione dall’inglese ma un testo che si richiama alle tradizioni degli Eora. Lo stesso utilizzato più volte a Sydney in cerimonie locali ma mai con una visibilità internazionale. Per la prima volta “Advance Australia Fair” diventa “Australiagal ya’nga yabun. La traduzione non potrà diventare l’unica scelta, ma è un primo passo importantissimo. Non esiste infatti una sola lingua aborigena universale, in Australia ne esistono più di trecento.

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Olivia Fox e i Wallabies cantano per la prima volta “Australiagal ya’nga yabun” in occasione di Australia-Argentina. (repubblica.it)

Advance Australia Fair (“Avanza, Australia giusta”) è stata scritta dal compositore Peter Dodds McCormick nel 1878 quando l’Australia era ancora una colonia britannica. Scelta come inno nazionale solo nel 1984 in sostituzione di God Save the Queen.

Ma la reazione degli appassionati di sport e degli spettatori del mach è stata immediatamente positiva. In Australia è aperto da tempo il confronto sull’inno nazionale. Simbolo della patria e dell’identità collettiva, espressione della storia contemporanea per i conservatori. Considerato poco inclusivo da tanti. In particolar modo dall’associazione “Recognition in anthem project”, che si batte per cambiarlo in nome dei valori della comunità aborigena: un 3,5% della popolazione australiana – circa 750mila su 250 milioni di abitanti – che non ama farsi chiamare aborigeni, ma che preferisce “native people”.

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La maglia “aborigena” della nazionale australiana di rugby. (bbc.com)

Tante le iniziative, molteplici le proteste.

Tra tutte quella di Harper Nielsen, bambina di soli nove anni che, nel settembre 2018, è rimasta seduta mentre la banda della scuola suonava Advance Australia Fair. Per lei l’inno ignora l’esistenza dei nativi. Non lo sente suo quel testo. Si tratta di “razzismo istituzionale”.

«Una strofa afferma che siamo un giovane popolo, trascurando completamente il fatto che gli aborigeni erano qui prima che arrivassero i nostri progenitori – ha detto intervistata dall’emittente nazionale ABC – quando dice “siamo giovani” ignora gli australiani indigeni che erano qui prima di noi».

Advance Australia Fair parla infatti di un popolo “giovane”, escludendo quindi la storia delle popolazioni indigene, presenti sull’isola da circa sessantamila anni.

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Harper Nielson con mamma e papà. (theaustralian.com.au)

La decisione di protestare è arrivata dopo lunghe discussioni in famiglia. Una mediazione non riuscita anche da parte del preside che aveva invitato la bambina a vagliare alternative come restare fuori dalla sala o non cantare. Ma la piccola Harper è rimasta fedele alla propria sensibilità e alla propria volontà di protestare.

La testimonianza che si può essere disobbedienti civili anche da bambini. Un gesto alla Colin Kaepernick, il giocatore di football americano che per primo si inginocchiò durante l’inno statunitense per esprimere solidarietà al movimento di protesta anti discriminazione nato negli USA nel 2016.

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La protesta di Eric Reid e Colin Kaepernick. (people.com)

Recentemente anche alcuni giocatori della National Rugby League indigeni si sono rifiutati di cantare l’inno ufficiale prima delle partite e la commissione Australian Rugby League è stata costretta all’inizio dell’ultima stagione a sospendere il canto prima dei match, per poi ripristinarlo dopo alcune proteste da parte dei tifosi.

A dimostrazione del grande fermento di cambiamento è arrivata poche settimane fa la proposta della premier del Nuovo Galles del Sud, Gladys Berejiklian, di cambiare una parola dell’inno nazionale australiano. Una sola parola, ma molto significativa. “One” (“uniti”) al posto di “young” (“giovane”).

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Gladys Berejiklian. (abc.net.au)

Berejiklian ha suggerito di trasformare il verso “We are young and free” (“siamo giovani e liberi”) in “We are one and free” (“siamo uniti e liberi”). La proposta è stata ben accolta da Ken Wyatt – Ministro per gli Affari indigeni – e da altri opinion leader australiani. Contrari i conservatori, che non percepiscono l’inno come problematico dando evidenza che, seppur con una storia millenaria, la nazione australiana è molto giovane. Altri auspicano scelte più coraggiose perché cambiare una sola parola non modificherebbe il senso dell’inno. Un recente sondaggio su news.au.com afferma invece che un terzo degli intervistati australiani vorrebbe come inno nazionale “I Am Australian della storica band The Seekers. Un testo che parrebbe comprendere un maggior senso di unità.

In attesa di sapere come andrà a finire… chissà se la piccola Harper ha conosciuto Colin Kaepernick.

 

Ecco il testo dell’inno australiano.

Australiani gioiamo, poiché siamo giovani e liberi. Abbiamo il suolo d’oro e la ricchezza per fatica. La nostra patria è circondata dal mare. Il nostro paese abbonda dei doni della natura, di una bellezza ricca e rara. Nella pagina di storia, che ogni fase promuova la bella Australia. Così nei toni gioiosi, cantiamo: “Avanza, bella Australia!”. Sotto la nostra lucente croce del sud, lavoreremo alacremente con il cuore e le mani, per fare nostro questo Commonwealth, farlo importante fra tutti gli Stati. Per coloro che sono venuti attraverso i mari. Abbiamo illimitate pianure da condividere. Con coraggio lasciateci collaborare per promuovere la bella Australia. Così nei toni gioiosi, cantiamo: “Avanza, bella Australia!”

 

Foto copertina – tpi.it

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