Un classico test tra il fisico e il metereologico chiede: in una giornata di pioggia ci si bagna di più correndo o camminando? La risposta è come sempre altalenante – con tutti i negazionisti di oggi poi, le risposte potrebbero essere almeno una ventina. Se pensiamo al tempo in senso stretto invece, un test da fare potrebbe essere: il tempo passa più velocemente se si è in movimento oppure se si è fermi?
Qui la risposta è davvero semplice, ma è sempre divertente leggere le idee di menti che il web 2.0 ha spalancato.
Questa domanda è valida anche nello sport. Sembra strano perché pensiamo allo sport come qualcosa che attiva sempre il corpo, per cui la stasi non è ammessa, tanto è vero che si parla di “attività sportiva”. Se questo è vero in parte, considerando sport come gli scacchi, c’è un caso in cui uno sport in cui nemmeno un muscolo è fermo ha sospeso il movimento e il tempo, creando una gigantesca parentesi inconcepibile e indimenticabile.
27 luglio 1968, Velodromo “Luigi Ganna” di Masnago, Campionati italiani su pista, sta per partire la prima semifinale della Velocità. Si sfidano due campioni, da una parte Giovanni Pettenella, dall’altra Sergio Bianchetto.
Pettenella a fine carriera vincerà più di 450 volte in pista, un jefe di questo sport, tanto che poi diventerà commissario tecnico della Nazionale, portando Francesco Moser all’oro individuale ai Mondiali di Monteroni di Lecce – avevamo un Velodromo a Monteroni di Lecce! Il poetico “Velodromo degli Ulivi” oggi in abbandono ovviamente, con migliaia di progetti di ristrutturazione, si vabbé si sa come vanno ste cose. Di Sergio Bianchetto basti dire che è stato per due volte di seguito campione olimpico del Tandem, per spiegare la sua grandezza.
I due quindi sono il meglio al mondo nella specialità. La finale olimpica della Velocità di Tokyo ’64 li ha visti confrontarsi – ahi come si incazzarono i francesi. I due in semi fecero fuori Pierre Trentin e Daniel Morelon, con la vittoria di Pettenella, ma Bianchetto, come scritto, non restò senza il dorato. Vinse il Tandem con Angelo Damiano.
Bianchetto in quel 1968 era con la Vittadello, dopo che nel 1967 era stato alla Borghi, mentre Pettenella era alla GBC, squadra belga ma composta tutta da italiani.
Sì, Borghi, avete capite bene, il commendatore Giovanni Borghi, che entra prepotentemente in questa nostra storia di tempo sospeso. Lui era l’Ignis, la beneamata Ignis che tanto ha dato allo sport. Era amico di Antonio Maspes, sette volte campione del mondo della Velocità. Ai due piaceva guardare avanti e un giorno decisero di inventarsi un tempo sospeso proprio lì dove il tempo era frenetico e vorticoso. Il surplace esisteva ma era la breve attesa impalpabile prima dell’uragano. Maspes decise di farlo diventare uno standard per la vittoria. Iniziò a vincere grazie ad un surplace molto più lungo e “immobile” e tutti iniziarono ad imitarlo. Ma dove lo faceva il surplace il vecchio Antonio? Ovviamente vicino ai cartelloni pubblicitari della Ignis del Vigorelli, così tutti a casa, nella loro televisione surriscaldata, potevano subliminalmente essere travolti dal marchio.
Per vizio e ingegno del duo Borghi-Maspes, quando Bianchetto e Pettenella iniziano la gara quel giorno a Masnago il surplace era in pratica la ricetta di tutti i mali. I due partono e fanno un primo giro in totale relax, guardandosi negli occhi e sui pedali.
Poi Bianchetto ha quei flash da memoria atletica che tanti nello sport hanno dimostrato essere fondamentali: Maradona nel “Gol del Siglo” ripercorre mnemonicamente un’azione realizzata sempre contro l’Inghilterra di cinque anni prima. A Tokyo Bianchetto si sentiva benissimo e partì per primo. Pettenella si mise in scia e lo saltò facile a tre metri dall’arrivo.
«Questa volta non mi freghi» disse, non così ma in veneto stretto, Bianchetto e all’inizio del secondo giro si piazzò in mezzo alla pista, vicino alla recinzione, chiedendo con la sua immobilità il passaggio in avanti di Pettenella. Ma il Giovanni non era mica fesso e si piantò lui stesso, all’interno, e iniziò il balletto.
La Rai si collegò e Nando Martellini presentò subito la situazione. Ci sono due ciclisti fermi, immobili, in mezzo alla pista. Tutto questo nella speranza che la cosa fosse molto temporanea.
La danza era arzigogolata anche se sembrava elementare. Restare fermi su quelle bici non era facile. Martellini continuava a collegarsi e scollegarsi, dando la linea a Roma, per poi riprenderla e intervistare qualcuno, per poi lasciarla con la frase «Il surplace va avanti, ci risentiamo tra qualche minuto…a fra poco!», per poi lasciarsi andare in un fuori onda: «Sì, ma qua non succede niente!». L’uomo delle emozioni più gigantesche della nostra storia sportiva stava cercando di descrivere il vuoto, l’assenza, il tempo bloccato, immobilizzato, congelato, inutile… no inutile mai, come vedremo.
La voce di Martellini però a delle conseguenze portò. La gente da Milano prese l’auto e partì per Masnago, 60 chilometri a tutta birra, tanti arrivarono al Velodromo e per fortuna non era ancora successo nulla, anche se è un nulla che conta.
Antonio Maspes che aveva inventato il surplace prolungato, aveva anche il record mondiale dello stesso: 61 minuti di stasi. Allo scoccare del 61’01’’ lo speaker esulta: «Attenzione. Avvertiamo il gentile pubblico che gli atleti Bianchetto e Pettenella hanno appena battuto il record mondiale di surplace!» Ma gli spettatori già sapevano, tanto è vero che da cinque minuti continuavano a cantare «O-ra, O-ra, O-ra» mentre si avvicinavano i sessanta minuti. 63’05’’: quel nulla diventa tutto.
Bianchetto non cede per strategia o stanchezza. Il suo corpo semplicemente non accetta più quella stasi e sussulta, facendolo crollare, anzi meglio dire collassare. Dovrà essere ripreso coi sali, come le dame del ‘700.
Tutto così bello quando il nulla trionfava. Tutto così sciatto quando riparte l’azione. Pettenella vince facile, senza l’avversario, che non fa nemmeno la seconda manche. Oggi per regolamento il surplace può durare al massimo tre minuti. Ci hanno tolto anche il nulla.
Foto copertina – Sergio Bianchetto e Giovanni Pettenella (quibrianzanews.com)
Un commento
Che bel ricordo. Quel giorno ero davanti al televisore nella mia casa di Roma. Rammento ogni attimo di quel lungo surplace. Avevo 17 anni scarsi. L’anno dopo, allo scoccare del mio 18esimo compleanno, sarei diventato anch’io un pistard dilettante. Entusiasmo tanto e risultati pochi. Ma io correvo per provare l’ebbrezza della competizione. L’adrenalina di una volata vinta nella riunione del giovedì al Veledromo Olimpico compensava largamente i lunghi periodi di magra (fare il pistard a Roma significava correre contro i campioni della Forestale e i migliori dilettanti italiani spesso ospitati in foresteria per stages azzurri). Correvo contro gente del calibro di Francesco Moser, Giorgio Rossi, Gianni Fratarcangeli, Massimo Marino. Ero in un mondo magico che ho custodito nell’animo con tenerezza e orgoglio nel prosieguo della mia vita. Ho fatto il giornalista per quasi cinquant’anni (lo faccio tutt’ora e di anni ne ho ormai settanta). Ne parlo qui non per mettere al centro la mia vita sportiva, che di prestioso non ha nulla. Lo faccio solo per regalare a questa pagina di appassionati un ricordo inedito riguardante proprio il surplace da record che è stato così ben raccontato da Jvan Sica. Nel 1971 a tenere per conto della Federazione uno degli stage di dilettanti di interesse nazionale al Velolimpico, fu proprio Sergio Bianchetto. Noi pistard romani eravamo aggregati al gruppo e Bianchetto, simpaticissimo, ci dispensava consigli e suggerimenti. A una mia domanda su quel surplace che avevo vissuto per intero con emozione davanti al teleschermo, lui rispose in modo schietto e spiazzante. “Non ho perso i sensi. Ho fatto finta di perderli. Dopo un’ora e tre minuti abbondanti non avevo la forza neanche di muovere un dito. Se Pettenella fosse partito non avrei potuto dare neanche una pedalata. Probabilmente anche Pettenella era nelle mie stesse condizioni, ma come saperlo? Allora mi sono lasciato cadere puntando sulla ripetizione della gara. Ricordo che mentre mi portavano a braccia a bordo pista, il medico dei campionati ha mangiato la foglia: questo -ha detto- è il primo svenuto che invece di essere bianco come un cencio è rosso congestionato. Aveva capito tutto. Ma non mi ha sbugiardato”.
Sono stato in qualche modo depositario non dico di un segreto ma quantomeno di un risvolto riservato di una bella pagina del nostro ciclismo. E adesso lo regalo a voi.