Monia Cardin, l’impagabile normalità dello sport

Monia Cardin, l’impagabile normalità dello sport

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Lo sport è vita, se ne rendano conto anche i medici. È indispensabile per il recupero al pari delle medicine”. Stavamo per redigere un pezzo sulla fortunatissima spedizione europea a Berlino del nuoto azzurro. Poi ci siamo imbattuti in queste parole di Monia Cardin. Quarantaquattro anni, responsabile amministrativa in una ditta del trevigiano, Monia è un’atleta di punta dell’ANED, Associazione Nazionale Dializzati e Trapiantati.10538061_10202645058796293_1588308598919623652_n

Chi conosce o chi ha conosciuto direttamente il tortuoso calvario terapeutico della dialisi sa bene a quale privazione quotidiana si sottopone un malato di reni. Chi ha o ha avuto la forza di confrontarsi direttamente con le dinamiche di un centro per dializzati conosce bene la difficoltà di ottenere un trapianto risolutivo della condizione di malato. Interminabili liste di attesa, continue verifiche di compatibilità e di corretto decorso dell’intervento.

Per questo, possiamo dire che, nelle vene di Monia, scorre un sangue doppiamente vincente.  Dopo aver affrontato un primo trapianto di rene dal padre circa vent’anni fa, la sprinter di Zero Bianco, Comune di 11 mila anime della Provincia trevigiana, si è trovata nelle condizione di dover subire un secondo intervento, a causa di alcune complicanze sopraggiunte nel corso degli anni. E’ il 28 marzo del 2013 e la Cardin si trova all’ospedale di Padova a misurarsi nuovamente con il proprio futuro. Nei panni del donatore c’è questa volta il marito, deus ex machina del sostegno all’atleta nel difficile percorso di ripristino delle normali funzioni fisiche. L’esito della seconda e, a maggior ragione, ancor più delicata operazione, è presto detto: a distanza di poco più di un anno da Padova, Monia Cardin si è ritrovata catapultata ai nastri di partenza nella specialità dei 100 metri ai Campionati Europei per Trapiantati e Dializzati di Cracovia, in Polonia. Manifestazione andata in scena a partire dallo scorso 16 agosto, che ha visto la partecipazione di oltre 350 atleti nelle più disparate discipline. 24 gli sportivi italiani, per un carniere finale di oltre trenta medaglie.

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Possiamo soltanto intuire e non certo comprendere quale sia stata l’emozione di Monia, debuttante in una competizione internazionale, al momento di prendere posto ai blocchi nella propria corsia di gara. Ci piace invece definire come incalcolabile il valore della medaglia d’oro messa al collo al termine di quegli stessi cento metri. Sembrerà una banalità, un’ovvietà per qualsiasi atleta di livello; non è questo il caso. Quella di Monia è una vittoria speciale che ha retrogusto della normalità; una sensazione impagabile per chi da sempre si trova nelle condizioni di inseguire la serenità di una vita comunemente intesa come “regolare”. La sprinter trevigiana ha fermato il cronometro sui 17 secondi e 44 centesimi. Dato statistico rilevante? Non nella freddezza dei semplici numeri snocciolati, passibili di immediato raffronto mentale con i tempi dei professionisti dell’atletica. Bensì nella positiva competitività insita nelle innate dinamiche dello sport. Il tempo registrato in pista è per Monia emblematico di una socialità ritrovata; da buona atleta, ha persino avuto modo di sottolineare come il traguardo sia stato raggiunto a scapito di avversarie molto più giovani di lei. Velleità sportiva quasi subito rientrata e compensata in occasione della gara sulla distanza dei 200 metri: bandiera bianca e ammissione di impotenza al cospetto di altre atlete non giovani, ma giovanissime rispetto ai suoi quarantaquattro anni. Lo sport dà, lo sport toglie. Come la vita di tutti i giorni.

Abbiamo aperto con l’incipit delle parole di Monia Cardin e il rimando ai Campionati Europei di nuoto appena terminati a Berlino. Concludiamo in maniera speculare, o simmetrica se vogliamo. Ricordando in questo angusto spazio che, a corte insieme ai reggenti re Gregorio Paltrinieri e regina Federica Pellegrini, c’è anche la principessa Monia Cardin. E che “non ci sono limitazioni per i trapiantati. E’ questione di volontà, bisogna solo crederci. Lo sport aiuta a guarire”.

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