Strane storie per cominciare bene la giornata

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«Lo chiamano Jesse perché quando la sua famiglia si sposta a Cleveland, nell’Ohio, e lui deve ricominciare ad andare a scuola, la sua maestra gli chiede come si chiama e lui vorrebbe dire J.C., che sono le sue iniziali, ma parla così male e con un accendo del Sud così forte che la maestra capisce Jesse, così lo scrive nel registro e così rimane».

 

Ci sono storie a cavallo tra realtà e fantasia. Abbastanza fantastiche da essere vere e ricordate nei libri di storia. Ma talmente strane da sembrare solo leggenda. Le storie possono essere di ogni genere. Invenzioni o realmente accadute. L’importante che ci sia qualcuno con la voglia di raccontarle e qualcuno pronto ad ascoltarle. I racconti si tramandano, di padre in figlio. Di generazione in generazione. Fanno parte del nostro patrimonio culturale.

Gli aedi dei nostri tempi sono cantori professionisti, come quelli greci. Hanno retorica, usano tecniche di scrittura in grado di tenerti incollato al libro. Usano la parola facendo rivivere luoghi e personaggi. In Italia chi lo fa da anni in maniera eccezionale è Carlo Lucarelli. Esordio letterario con il giallo “Carta bianca” del 1990, il primo di una lunga serie di noir a sfondo poliziesco. Ha scritto per diversi giornali e riviste. Ha firmato spettacoli teatrali, ha ispirato film. Ha scritto fumetti. Per me “Dylan Dog n. 153 La Strada verso il Nulla” è un mezzo feticcio.

Spesso lo vediamo in televisione. Come opinionista, come giallista. Come conduttore.

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Carlo Lucarelli. (fanpage.it)

Nel mese di giugno è uscito il suo ultimo libro, L’incredibile, prima di colazione. Le 41 storie raccolte nel volume edito da Solferino, Lucarelli le ha raccontate in gran parte in un programma radiofonico che si chiamava Deegiallo, format radiofonico di Radio Deejay. Si parla di sociologia, storia, scienza, spettacolo e violenza.

Lo so cosa state pensando. Ma che c’entra quest’articolo in Storie all’Overtime?

C’entra, c’entra. Eccome se c’entra!

Perché tra le 328 pagine del libro ci sono storie di sport. Una delle poche occasioni in cui lo scrittore parmense se ne è occupato. Racconti che potremmo definire grandi cult, scritti con leggerezza e semplicità incredibile. Pagine di facile divulgazione, da leggere ai nostri bambini prima di addormentarsi. Mai banali. Storie di grandissimo spessore.

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Il ciclismo dallo stile popolare. Popolare perché seguito da un sacco di gente. Ciclismo fatto di campioni che attraversavano l’Italia distrutta dalla guerra. Salite massacranti, discese da ammazzarsi, curve e rettilinei di Giri d’Italia che passeranno alla storia. Come le vicende di Luigi Malabrocca, il cui scopo era non arrivare “Uno. Il suo scopo era arrivare ultimo. Conquistare la maglia nera, quella maglia che deve il suo colore a Giuseppe Ticozzelli, il terzino del Casale che smessa la carriera da calciatore ci provò con le due ruote. Le tappe del Giro del 1949, la sua sfida con Sante Carollo, fatta di nascondigli e ritardi. Chi vincerà l’ultima posizione?

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Sante Carollo indossa la maglia nera in una camera d’albergo. (crpiemonte.medium.com)

La storia del disastro dell’LZ 129, meglio conosciuto come Hindenburg. Il più grande oggetto volante mai costruito. Lo era nel 1937 e lo è ancora. Un record assoluto. Una nave in cielo che trova una fine disastrosa così come il Titanic. Un errore umano, un problema tecnico o un sabotaggio? Nessuno avrà mai la risposta. Il mondo avrà comunque modo di apprezzarne la sua magnificenza durante l’apertura dei giochi olimpici di Berlino 1936.

Le stesse Olimpiadi di Jesse Owens. L’atleta statunitense dell’Alabama che vinse la propaganda del regime nazista con quattro medaglie d’oro. L’XI Olimpiade sarà ricordata anche per il suo errore nella prova del salto in lungo e per il gesto di fair play sportivo più famoso della storia, quello di Luz Long. Olimpiadi riprese dalla regista Leni Riefenstahl in un film documentario che si chiama Olympia: una delle opere più belle mai realizzate in quel genere. E poi le contraddizioni di quei tempi e di quei giochi. Jesse Owens accolto negli Stati Uniti come un eroe nazionale, ma costretto a usare l’ascensore di servizio al ricevimento d’onore per gli atleti americani al Waldorf Astoria e mai ricevuto dal presidente Roosvelt, timoroso delle reazioni degli Stati del sud.

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Il primo storico atterraggio dell’Hindenburg a Lakehurst (USA) nel 1936. (Wide World Photos/Minneapolis Sunday Tribune/thoughtco.com)

Il pugile di strada Michael Gordon Peterson, in arte Charles Bronson. Nel suo curriculum una sola voce: saper menare. È così che si fa i muscoli. Con la ginnastica scolpisce il suo corpo. La mania del fitness lo rende una ‘macchina da botte’. Un vero e proprio campione di pugilato a mani nude degli anni 70. Condannato per vari reati, entra ed esce dalle prigioni di tutta la nazione. Si picchia con tutti. Dentro e fuori le galere. Di rissa in rissa diventerà il detenuto più pericoloso di tutta la storia carceraria della Gran Bretagna. Nei suoi primi trentasette anni di carcere, trentatré sono di isolamento. Fuori dalle carceri, dal suo primo arresto, solo quattro mesi e nove giorni. Ma nel tempo libero, ovviamente in cella, scrive libri di fitness, facendo 2500 piegamenti al giorno.

La trilogia dedicata al calcio è ricca di dolore e di violenza. C’è sempre il legame con la guerra.

Lucarelli scrive che una partita di calcio è come una piccola battaglia. Due piccoli eserciti che si affrontano. Quando si tratta di competizioni internazionali, sono come gli eserciti di due nazioni differenti. C’è stata una volta in cui una partita è diventata davvero una guerra. La “Guerra del Fùtbol” che scoppiò tra El Salvador e Honduras nell’estate del 1969, l’anno prima dei Mondiali di calcio del Messico. Una guerra assurda, in cui il calcio è stato solo l’innesco di una situazione già tesa da anni. Sangue, bombe e morti. Tutto partito da un rigore ai tempi supplementari all’Estadio Azteca – campo neutro – per giocarsi la qualificazione ai mondiali.

Il calcio è identità, coesione sociale. Nel bene e nel male. Più di ogni altro sport. Almeno in Europa. È fatto di orgoglio, può portare a scelte estreme di grande coraggio che riempiono i libri di storia.

Penso che tutti abbiate visto “Fuga per la vittoria” con Pelè e Sylvester Stallone. Bene.

Ora immaginate una squadra formata da giocatori fortissimi, soldati ucraini che sono stati presi prigionieri durante l’avanzata dei tedeschi ma che prima della seconda guerra mondiale erano giocatori professionisti. Siamo in Ucraina, nel 1942. È la storia che ha ispirato il film di John Huston. La selezione Start fu obbligata a scontrasi contro la Flakelf, la squadra più forte dell’esercito tedesco, formata da ufficiali e soldati della Luftwaffe, aviazione tedesca. L’arbitro è un ufficiale delle SS. La partita è organizzata dai nazisti per evidenti motivi propagandistici. Anche la Start lo sa. Gli viene chiarito prima del’inizio, negli spogliatoi. Ed è sul campo che si scrive la storia, che si afferma la propria identità. Si vince e si muore per la propria identità. 5-3 per la Start. Qualche giorno dopo la Gestapo andrà a prendere i giocatori uno per uno. Tutti arrestati, torturati e spediti al campo di concentramento di Syrets.

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Start-Flakelf, 6 agosto 1942.

Lucarelli racconta anche di come il bello del calcio è che lo può giocare chiunque, ovunque. Tranne che in un caso. Quando c’è la guerra appunto. Ma il calcio alle volte può abbattere frontiere e barriere. Almeno nei giorni intorno al Natale. Nel 1914 sul fronte occidentale, nelle Fiandre, intorno alla cittadina di Armentières, si fronteggiano tedeschi e alleati. Una lunghissima guerra di posizione, di trincea. Numeri da pelle d’oca. Solo nella battaglia della Marna lasciano questo mondo 80.000 francesi, 250.000 tedeschi e 1.700 inglesi. Ma il calcio può. In quel primo Natale di guerra, gli eserciti abbandonano i fucili per fronteggiarsi con un pallone. I tedeschi cantano Stille Nacht, gli inglesi rispondono con Adeste Fideles. Da una parte soldati scozzesi del Corpo di Spedizione Britannico, dall’altra un reggimento sassone dell’esercito tedesco. 3-2 per i tedeschi il risultato finale.

Ci sono molte voci e aneddoti sulla “partita di Natale”. C’è qualcuno a cui la partita non è piaciuta, soprattutto al generale Horace Smit Dorrien, che comanda le forze inglesi di quella regione.

C’è chi dice sia solo un’invenzione.

Ma, come direbbe Lucarelli, «questa è un’altra storia».

Per oggi… «Se voi non sparate, oggi, non spariamo neanche noi».

L’INCREDIBILE, PRIMA DI COLAZIONE

di Carlo Lucarelli

SOLFERINO – 328 pagine

Euro 15,00

La citazione da ricordare

«Non si sa perché. Forse per quelle magliette rosse che li hanno trasformati tutti in soldati e i soldati mettono in conto anche di morire. Forse perché a vedere tutta quella gente sugli spalti dello Zenit, tutti quei concittadini tifosi della vecchia Dinamo e della Lokomotiv, i loro tifosi, che ci restano così male a vederli perdere in quel modo. O forse perché quello è il calcio, loro sono calciatori, quello è sport e nello sport si gareggia per vincere e non per perdere a comando, per motivi di propaganda, costi quello che costi».

 

Foto copertina – Michael Gordon Peterson, in arte Charles Bronson. (thesun.co.uk)

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