«Un portiere non è un portiere se non cura la divisa».
Così la pensava Vladimiro Caminiti. Un numero uno che potesse dirsi tale, secondo il popolare Camin, doveva mostrare di essere degno del privilegio solo a lui concesso, quello dell’uso delle mani, non solo volando da palo a palo – essendo provvisto di ali invisibili sotto le scapole – ma già nel momento della scelta dell’abito, un dovere sacrale.
La divisa, dunque. Non solo la maglia, ma anche pantaloncini e calzettoni, cappelli e ginocchiere, per non parlare di eventuali cinture e cavigliere. Un corredo completo che nel corso del tempo ha perso alcuni dei suoi orpelli per aggiungerne altri, i guanti prima di tutto. Giampiero Combi è stato il portiere che Caminiti ha forse amato di più. Bravo, coraggioso, volante. Ma soprattutto elegante. Maglione quasi sempre bianco con ampio e doppio girocollo nero – che cambiava durante l’intervallo -, pantaloncini neri che lambivano il ginocchio e che erano sorretti da una cintura; ginocchiere in bella vista, calzettoni neri con due righe bianche e cavigliere che spiccavano al di sopra delle scarpette.
Sentimenti IV, Anzolin, Dino Zoff, e anche l’eterno dodici Bodini, gli altri estremi ammirati da Camin nel corso degli anni, per la cura della loro divisa, prima nera e poi grigia. Sincera avversione, invece, per Giuliano Terraneo, l’erede granata di Bacigalupo e Castellini, che verso la metà degli anni Ottanta sotto la sgargiante maglia verde con il torello sul cuore, indossava degli orribili mutandoni bianchi. Per non parlare di Preud’homme, numero uno della nazionale belga a Italia 90 che per Caminiti si vestiva come “un benzinaio” data la predominanza del giallo e del blu nella sua divisa ufficiale, scelta cromatica in tutto simile alle tute dell’Agip dell’epoca. Giudizi sarcastici e duri perché per il poeta panormita la classe del portiere cominciava dalla divisa. Camin se ne è andato nel 1992, quando già tanto era cambiato in tema di look per gli estremi difensori, ma molto ancora doveva succedere: dalle macedonie di colore finite per volere dei creativi sulle maglie dei portieri, ai numeri fissi poche volte coincidenti con i canonici 1 e 12; dalle mezze maniche ormai diventate un must, al Buffon vestito di bianconero in una notte di inizio dicembre 2003 all’Olimpico contro la Lazio. Indietro non si torna, se non con la memoria. Ci proviamo con questa rassegna delle maglie, dei colori e delle parate.
- NERO. Per decenni è stato il colore più gettonato tra i numeri uno. Anche i pantaloncini di solito erano neri, mentre un pizzico di libertà in più era consentita, ma non più di tanto, nella scelta dei calzettoni. Un all-black vincente è stato Fabio Cudicini, non a caso ribattezzato “Ragno nero”. A dire il vero la metamorfosi cromatica avvenne sulla soglia della pensione, quando fu chiamato dal concittadino Nereo Rocco a svernare a Milano, sponda rossonera. Fino ad allora la sua divisa era stata spesso verde o grigia. In completo nero, con l’unica concessione al rosso per il colletto ed i polsini, Cudicini fu l’eroe di Manchester, quando il 15 maggio 1969 parò tutto, anche quello che pioveva dagli spalti e regalò al Milan la finale di Coppa dei Campioni, poi vinta contro l’Ajax di un giovane Cruijff.
- GRIGIO. E poi accade che i portieri non possano più vestirsi di nero. Si confondono con gli arbitri, motivano la decisione i padroni del pallone italico allineandosi all’Europa. È il settembre del ‘75, il campionato di Serie A sta per partire e le società sono costrette ad aggiornare il loro guardaroba. Furono in molti a patire quella decisione, Dino Zoff in primis che ripiegò sul verde. Per alcune domeniche in quel primo torneo senza il nero, indossò addirittura una maglia griffata Adidas. A gioco lungo, però, Zoff preferì sposarsi con il grigio, già suo compagno fedele in Nazionale. Un matrimonio perfetto e quando apparve vestito d’azzurro in un Avellino-Juventus fine anni Settanta, si scoprì che quella maglietta l’aveva avuta in prestito dal collega avversario Piotti! Con la maglia grigia e colletto nero Zoff fu l’eroe di Coppa in una notte torinese del marzo 1978 quando ipnotizzò i rigoristi dell’Ajax facendo esplodere il Comunale. Con la maglia grigia e colletto azzurro inchiodò sulla linea di porta le ultime speranze dei brasiliani nel fantastico pomeriggio del Sarrià, quattro anni dopo. Con la maglia grigia ed i polsini azzurri la sera dell’undici luglio 1982 alzò al cielo la Coppa del Mondo.
- GIALLO CANARINO. Uno che di nero non si è mai vestito, con e senza baffo, è stato Ricky Albertosi. Agli esordi giovanili con la Fiorentina si presentò in grigio, quindi blu e più spesso rosso nel Cagliari dello storico scudetto e infine giallo canarino al Milan negli anni della maturità. Il nero magari lo mettevano Pizzaballa e Tancredi, i suoi vice. Lui no. Troppo triste per uno show man che molto dava alla platea e a sé stesso. Con la maglia gialla Adidas, pantaloncino nero così come i calzettoni, arrivò a conquistare da protagonista lo scudetto della stella milanista quando le primavere erano quasi quaranta. Giallo acceso anche per un altro portiere iconico, il tabaccaio olandese Jan Jongbloed, guardiano della porta degli arancioni nei Mondiali del ’74 e del ’78. Lui, però, sulle spalle portava il numero otto.
- ROSSO. Il Cagliari ha spesso vestito i propri numeri uno di rosso. Prima di Albertosi, Adriano Reginato. Dopo Ricky, è stata la volta di Renato Copparoni. Maglia rossa anche per Franco Mancini nelle stagioni bolognesi di fine anni Settanta, e per il suo vice Amos Adani che, per sentirsi più forte, si era fatto crescere i capelli e li teneva raccolti sulla fronte con una fascia tergisudore, come aveva visto fare al contemporaneo Tomaszewski, gigante insuperabile della Polonia. Ma di rosso, seppure con sbuffi blu ad interrompere l’unicità della tinta, era abbigliato anche il brutto anatroccolo Claudio Garella quando, trasformatosi in cigno, condusse con le sue originali parate il Verona alla vittoria in campionato nell’anno del sorteggio arbitrale integrale. E ancora rossa, seppure tendente al bordeaux era la sua maglia quando, trasferitosi alle pendici del Vesuvio, portò il Napoli di Maradona alla conquista del primo alloro tricolore, anno di grazia 1987.
- AZZURRO. Il 7 giugno del ‘70 a Guadalajara Gordon Banks, numero uno dell’Inghilterra Campione del Mondo in carica, sfidò il Brasile di Pelè con un’inedita maglietta azzurra. Per una volta Banks lasciò nel borsone la sua amata maglia gialla che, in quel caso, avrebbe fatto a cazzotti con la divisa brasileira. I pantaloncini ed i calzettoni, nel pieno rispetto della tradizione britannica, erano uguali al resto della squadra: bianchi, senza alcuna altra concessione al look. Pelè, all’altezza del palo più lontano, colpì perfettamente di testa un cross morbido di Jairzinho mirando all’angolino basso. Il gol sembrava cosa fatta, ma Flash Gordon con un balzo incredibile, schiaffeggiò la sfera che si impennò oltre la traversa. È la parata del secolo, in maglia azzurra.
- GIALLO OCRA. Il tricolore era tornato sulle divise granata dopo 27 anni. In porta a miracol mostrare stava Luciano Castellini con il suo bel maglione verde e un cerchietto granata sul cuore a contenere l’impeto di un bianco torello sbuffante. Ma i nervi del Giaguaro non reggono la sera del 3 novembre 1976, quando sul campo del Borussia, quello con il nome impronunciabile, si fa cacciare fuori dopo un arrembaggio verso un avversario in fuga. È il terzo rosso per il Torino. In porta va Ciccio Graziani, il generoso per definizione. Castellini gli cede guanti e maglietta che per l’occasione è colorata di giallo ocra con il torello granata che sgambetta dentro lo scudetto tricolore. Para tutto Graziani, la partita finisce 0-0, ma il pari non basta per superare il turno e la Coppa dei Campioni rimane una chimera.
- VERDE. Stefano Tacconi arriva alla Juventus nell’estate del 1983 e raccoglie l’eredità di Zoff. Per fare il bravo si veste anche lui di grigio e così conciato appare nelle foto di gruppo ufficiali e nelle figurine Panini. Poi sconfina e colora la maglia da portiere della Juventus come mai era accaduto prima. Solo il giallo manca all’appello, per il resto ci sono tutte le sfumature dell’iride. L’otto dicembre 1985 a Tokyo opta per una divisa verde con maniche e spalline nere. Fa il fenomeno sui calci di rigore e l’Intercontinentale prende la via di Torino. Anche il romeno dello Steaua Bucarest Helmuth Duckadam nella finale di Coppa Campioni contro il Barcellona nel maggio 1986, indossava una maglia verde. Quattro rigori parati su altrettanti tiri, tre volte sulla sua destra; una volta, per la parata decisiva, sul lato opposto. Poi, sparì dai radar, in fretta e alquanto misteriosamente.
- CELESTE. L’Olanda è piegata, ma ce n’è voluta. O meglio, è bastato il guizzo del solito Muller. La Germania dell’Ovest – il muro di Berlino è ancora in piedi – bissa il titolo di venti anni prima. Alza la nuova Coppa del Mondo per primo Beckenbauer, il Kaiser. Poi arriva Sepp Maier, l’insuperabile portiere-giocoliere, numero uno del Bayern plurivittorioso in patria e all’estero. Maglia celeste cielo. Nero tutto il resto, dal colletto ai polsini, dai pantaloncini ai calzettoni. I guanti se li è sfilati per poter accarezzare lo scintillante trofeo. E quando la Germania, ancora dell’Ovest, torna a vincere qualcosa – l’Europeo in Italia, 1980 -, l’erede del mitico Maier sarà anch’egli di celeste abbigliato. Il suo nome è Harald Schumacher, per gli amici – non molti – Toni.
- BLU. Gilmar dos Santos Neves, il più grande portiere brasiliano di tutti i tempi, vestiva di blu quando per la seconda volta conquistò il Mondiale, Cile 1962. Dal 1955 al 1969 fu lui il titolare della maglia numero uno. Nera all’inizio, poi blu, con la scritta Brasil che campeggiava sul davanti a corredo dello scudetto della Federazione Brasiliana cucito sul petto. Blu erano anche i pantaloncini che portava piuttosto alti in vita. Con i sodali Djalma e Nilton Santos, omonimi ma non parenti, ha formato per anni un terzetto di livello assoluto. Blu era anche la maglia di William “Carburo” Negri, portiere volante del Bologna dello scudetto 1964, quello delle anfetamine al ragù e dello spareggio all’Olimpico contro l’Inter di Herrera.
- FUCSIA. Prima di lui c’era stato il portiere del Como 75-76 Antonio Rigamonti – maglia grigia, pantaloncini neri e calzettoni azzurri – che però segnava su rigore, come aveva fatto anni addietro Sentimenti IV in completo nero. A Michelangelo Rampulla, invece, riuscì di battere il collega avversario con un colpo di testa, raccogliendo un corner dalla destra. Accadde il 23 febbraio 1992 e la sua Cremonese, grazie a quella rete, pareggiò al novantesimo con l’Atalanta. Nell’area avversaria saltò indisturbato con il suo maglione fucsia con inserti neri. Un abbinamento molto amato dal portiere di Patti, tanto da riproporlo perfino alla Juventus dove si trasferì l’anno seguente.
- ORO. Con il colore della medaglia più preziosa si è vestito Gigi Buffon la sera del 9 luglio 2006, pregustando quel che sarebbe successo di lì a due ore. Finale mondiale. Un’occasione fondamentale, unica, irripetibile. Per questo occorre un abito da cerimonia. Anche Berlino si è vestita a festa, sommersa dal tricolore delle bandiere dell’Italia. La Nazionale di Lippi ha appena eliminato la Germania in semifinale, nella partita più emozionante dell’intero torneo per gli azzurri. Come in Messico nel 1970, sono stati i tempi supplementari a rompere gli equilibri. E adesso c’è la Francia a contendere la Coppa del Mondo, lei sì di oro vero. 1-1 al 90’. Extra time e al minuto 103 Buffon, il golden keeper, si supera, alzando sopra la traversa una frustata di testa di Zidane a colpo sicuro.
Esulta Gigi, nella sua magnifica veste regale. Il pareggio rimane inchiodato. Rigori, dopo il rosso a Zizou per un altro colpo di testa – sul petto di Materazzi. L’oro di Buffon ipnotizza Trezeguet che centra la traversa. L’ultimo respiro è per Fabio Grosso, il nostro outsider, che realizza il penalty decisivo. Il Mondiale è nostro. Il cielo è azzurro sopra Berlino.
Foto copertina – L’eccentrico Jorge Campos. (nssmag.com)