Kaiser Henrique, l’incapace professionista del pallone

Kaiser Henrique, l’incapace professionista del pallone

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Zero tituli stagionali, come vaticinava José Mourinho? No, zero minuti a referto come fece registrare Kaiser Henrique per ben venti anni di carriera. Carlos Henrique Raposo, anno di grazia 1963, from Rio de Janeiro. Professione? Al meglio inquadrabile come responsabile delle pubbliche relazioni nel settore calcistico sudamericano degli anni ’80. Un intero percorso “sportivo” speso ad intrattenere relazioni di empatia ed amicizia con le persone giuste, ovvero quelle che avrebbero potuto aprirgli le porte del lavoro. O, per meglio dire, procurargli il rendez vous con una penna ed un contratto. Tutto normale, se non si stesse parlando di un vero e proprio calciatore con una carriera ventennale alle spalle.

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I fondamentali, Kaiser Henrique non li assorbe su di un polveroso terreno limitrofo al Maracanà, al pari di quel geniaccio di Aristoteles ne “L’allenatore nel pallone”. Il Kaiser preferisce impratichirsi nei locali della movida brasiliana, dove riesce ad entrare in contatto con personalità pallonare del calibro di Ricardo Rocha, Edmundo, Romario, Bebeto e Renato Gaucho. La tecnica è tanto semplice quanto arguta: presentazione in stile grande promessa del calcio, con annessa richiesta di ausilio a fine ottenimento dell’occasione propizia. Il tutto sostenuto da un prezioso contorno di giovialità, bon ton ed attenta cura dei rapporti. Certo, il possente fisico similare al leggendario capitano teutonico Franz Beckenbauer lo sostiene. Oltre a valergli l’appellativo di Kaiser, di fatti, cela armoniosamente le doti calcistiche (pressoché inesistenti) del nostro. La mancanza di notizie sulla provenienza degli atleti, in un’epoca scevra dal bombardamento di informazioni oggi conosciuto, completa l’opera e compie l’impensabile.

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Si comincia dalla vetta, con l’ingaggio del Botafogo, premiata Società di Rio. L’entratura è tra quelle di sostanza: l’appoggio della torcida (tifoseria), con in prima fila il giocatore Mauricio, amico fin dall’infanzia. Kaiser Henrique riesce per mesi ad evitare l’esordio, adducendo continui problemi fisici in allenamento. Alla fine dell’avventura bianconera, il bottino agguantato vanta innumerevoli certificati medici. Nessun controllo specializzato. E, naturalmente, zero minuti giocati.

Prestigiose anche le tappe successive. In prima battuta, il glorioso Flamengo di Renato Gaucho, ex Roma e nazionale verdeoro. Pose da vip in allenamento, millantato credito da parte di scout europei, ma poca sostanza anche qui. Via quindi a caccia di altri ingaggi in Messico e negli Stati Uniti, tra le fila del Puebla e a El Paso. Poi il gran ritorno in Brasile al Bangù, con un episodio che sfiora il ridicolo. Costretto a scendere in campo dall’allenatore, Carlos si inventa un parapiglia con un tifoso avversario sotto la tribuna ancor prima che la gara abbia inizio, sostenendo di aver agito a difesa dell’onore dello stesso trainer. Un comportamento che gli valse il provvedimento disciplinare dell’arbitro, con conseguente allontanamento dall’incontro. E il prolungamento dell’avventura, con il beneplacito del mister.

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Il grande bluff del Kaiser si protrae anche successivamente, mandando in confusione e ingannando gli staff del Palmeiras e del Guaranì. Ultime tappe, queste, prima del capolavoro, del delitto perfetto: lo sbarco nel calcio europeo tra le file dell’Ajaccio. Un calciatore sudamericano che arriva in Europa negli anni’80 rappresenta il non plus ultra di una campagna di rafforzamento dell’organico. Sono gli anni di Diego Armando Maradona, di Zico, di Falcao, del grande Leo Junior. Carlos Henrique Raposo, a dire dell’amico campione Ricardo Rocha, non avrebbe saputo neanche giocare a carte con uno dei fenomeni suddetti. E, infatti, se la caverà anche in Francia con una simpatica presentazione ai tifosi, con un gradevole rapporto di amicizia con l’ambiente e i compagni di squadra, senza dimenticare i consueti, copiosi certificati medici.

La parabola calcistica del Kaiser si conclude a Guarany de Camaqua. A 39 anni, senza partita d’addio alla quale avrebbe dovuto per forza prendere parte, lascia il labile ricordo di 20 presenze sul campo in 20 anni. Tutte interrotte per infortunio. Un carniere fin ricco, per un incapace del pallone.  Materiale che potrebbe far chiudere i battenti per manifesta superiorità anche alla rubrica “Fenomeni parastatali” di Mai dire Gol, se non fosse già stata consegnata alla storia. Noi abbiamo voluto dargli spazio per pungolare l’impazzito mercato del lavoro attuale, che troppe persone sta mettendo in ginocchio. E se qualcuno contestasse l’indirizzo etico-sportivo, non avremmo fatica a citare lo stesso Kaiser Henrique: “Non mi pento di nulla. I club prendono in giro moltissimi calciatori, qualcuno doveva pure vendicarli…”.

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