La musica di Ennio Morricone – scomparso a 91 anni – ha accompagnato anche tante imprese sportive, basti pensare alle decine e decine di servizi televisivi che in questi anni – da un gol di Paolo Rossi a uno di Cristiano Ronaldo, da una corsa di Mennea ad una di Bolt – sono stati impreziositi dalle track del grande compositore. Musiche che – da “Mission” a “C’era una volta in America” fino a “Nuovo Cinema Paradiso” – evocavano un’atmosfera, calamitavano un ricordo, innescano il brivido di un’emozione. L’opera di Morricone, lungo i 60 anni della sua straordinaria carriera, è stata la colonna sonora del cinema italiano e in fondo, se ci pensiamo, anche lo sport non è altro che la sublimazione del gesto umano che si fa cinema, cioè spettacolo e magia.
Ennio Morricone – classe 1928 – era romano e romanista, anche se nell’infanzia, come egli stesso ha più volte raccontato, si è «macchiato di un peccato», poi subito cancellato. Nella classe della scuola elementare che frequentava la maggioranza dei bimbi tifava Lazio, così per il piccolo Ennio la dichiarazione di fede laziale è stata un modo per sentirsi parte di un gruppo. Non la pensava così suo padre, che appena saputa la notizia chiamò il figlio per chiedergli ragione di quella scelta, a suo dire così disonorevole per la famiglia. Ci scappò una «pizza» e un «non ti vergogni a tifare Lazio?», che servirono a riportare Ennio sulla retta via. Da quel giorno in poi Morricone è sempre stato un tifoso vero, spesso presente all’Olimpico – anche con il suo grande amico Sergio Leone, che però era laziale – e addirittura membro ufficiale, con Venditti, Proietti e altri artisti romanisti, di una consulta di “tifosi vip” pensata dal presidente della Roma all’inizio degli anni ’90, Giuseppe Ciarrapico detto “Er Ciarra”, per riallacciare il sentimento con la città di parte giallorossa. Nelle interviste di questi anni Morricone ha più volte ricordato che il suo idolo è stato Giacomino Losi, leggenda della Roma per quindici campionati, dal 1955 al 1969, simbolo di un certo modo – l’orgoglio, l’appartenenza, il coraggio – di vivere la romanità.
Morricone ha anche composto l’inno dei Mondiali di Argentina, nel 1978, nota come la “Marcha Mundial”. Compose il primo inno mondiale senza parole – il primo in assoluto risaliva ai Mondiali di Cile del 1962 – avvalendosi dell’aiuto della Orquesta Filarmonica de Buenos Aires. E a riascoltarlo oggi si è catapultati in un’atmosfera di un western marchiato da Morricone, con musiche al tempo stesso classiche e sperimentali. Era quella l’Argentina dei generali, Videla e Agosti, il Paese sotto il gioco della dittatura che aveva organizzato il torneo per rifarsi una verginità agli occhi del mondo, calpestando i diritti civili, coprendo torture, morti e desaparecidos. Morricone – in quello stesso periodo – stava lavorando alla colonna sonora de “I giorni del cielo”, il celebre film di Terrence Malick con Richard Gere tra i protagonisti. La pellicola l’avrebbe portato la prima candidatura all’Oscar, vinto poi nel 2016 per “The Hateful Eight” di Quentin Tarantino dopo che – con colpevole ritardo – a Hollywood l’avevano premiato nel 2006 con l’Oscar onorario.
500 colonne sonore, un numero spropositato, da lasciare senza fiato; 70 milioni di dischi venduti in tutto il mondo, le collaborazioni con i più grandi registi della storia del cinema, da Leone a Bertolucci, da De Palma a Tarantino, da Almodovar a Tornatore, un amore lungo 70 anni con la moglie Maria, quattro figli, la certezza che la propria arte gli sopravviverà ancora a lungo: pragmatico, riflessivo, con un rigore pauroso e un rispetto del lavoro che è di esempio, Morricone ci ha lasciato, tra le tante note in forma di musica, anche una frase che riassume il senso di una vita dedicata all’arte e che dovrebbe essere mandata a memoria anche da molti campioni dello sport. «Non so se esistano il colpo di fulmine o l’intuizione soprannaturale. So che esistono la tenuta, la coerenza, la serietà, la durata». Di recente Morricone – insieme a Mogol – aveva lavorato all’inno ufficiale di Milano-Cortina 2026, ennesima perla di un percorso a cui nessuno può dirsi estraneo. Perché la musica che gira intorno alle nostre vite – da una vita a questa parte – è quella di questo signore filiforme e geniale, che ha saputo impreziosire ogni immagine di film trattenuto dalla nostra memoria in un carillon che risuona ogni volta della musica più dolce, quella che porta dritti alla nostalgia.
Foto copertina – Jelmer de Haas/pinterest.com