«Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà due volte campione d’Europa e il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni».
Si dice siano queste le parole d’addio di Béla Guttman, l’allenatore della leggenda, il magiaro che per ben due volte, dopo cinque anni di dominio del Real Madrid, portò il Benfica a vincere la Coppa dei Campioni.
I biancorossi vengono fondati a Lisbona, sotto il nome di Sport Lisboa, il 28 febbraio del 1904. La squadra nasce dal “mitologico” Cosme Damião, che passerà alla storia come uno dei principali artefici, non che primo allenatore della squadra, che, dopo la fusione con il Grupo Sport Benfica, diventa lo Sport Lisboa e Benfica che conosciamo oggi, con l’iconico stemma che sovrappone l’aquila romana ad una ruota di bicicletta.
Negli anni ‘50 il Benfica si era mostrato al calcio europeo, con tre partecipazioni e una vittoria della Coppa Latina, una proto-Champions League, che vedeva scontrarsi i campioni nazionali di Francia, Italia, Spagna e Portogallo. La storia di questo club con l’allora Coppa dei Campioni inizia nell’annata 57-58, la terza edizione della competizione, dove però esce al primo turno contro il Siviglia. Gli anni ‘60 iniziano poi con la vittoria del decimo titolo nazionale. Sulla panchina del club è seduto Béla Guttmann, che aveva già vinto il campionato portoghese l’anno precedente con i rivali storici del Porto.
L’allenatore della leggenda
Nato a Budapest nel 1899, figlio di una coppia di ballerini di origini ebraiche, inizialmente anche Guttmann aveva seguito l’impronta genitoriale, diventando a 16 anni istruttore di ballo. Si innamora subito dopo però del calcio, giocando da centrocampista avanzato. Dopo gli inizi al Torekves, passa al MTK Budapest, dove viene arretrato per diventare il centro di una squadra capace di vincere nove campionati magiari di fila, dal 1916 al 1925, e due campionati ungheresi.
Di temperamento vivace e sfrontato, Béla Guttman aveva anche studiato, laureandosi in psicologia. Riesce a salvarsi dallo sterminio nazista rifugiandosi prima in Olanda e tornando poi a giocare con l’Ujpest di Budapest, dove vince nella stagione 1938/39 scudetto e Mitropa Cup. Durante la guerra, fugge dalla morte rimanendo internato in un campo di prigionia in Svizzera. Molto probabilmente invece riuscì a scappare da un convoglio che lo stava conducendo ad Auschwitz, per nascondersi a Budapest.
È però da allenatore che si guadagna un posto nella leggenda, allenando squadre in 3 continenti e 14 paesi diversi, vince 6 Scudetti in 4 nazioni. Ha allenato grandissimi giocatori come Puskas ed Eusebio, seguendo sempre il suo motto: “Controlla la stella e controllerai la squadra”. Un gestore alla vecchia maniera, che puntava sulla fiducia che instaurava tra sé stesso e il leader del roster. Dopo varie esperienze in Italia, Ungheria, Romania – al Ciocanul, ora Dinamo Bucarest, dove si dice si facesse pagare con frutta e verdura – e in Brasile.
La consacrazione col Benfica
Dopo un solo anno con i Dragoni di Porto e con un campionato vinto, Guttmann si trasferisce quindi al Benfica. È qui che arriva la sua consacrazione. Rifonda la rosa della squadra, promuovendo tanti giovani dalla primavera, ma confermando il modulo che aveva trovato al suo arrivo, il 4-2-4. Il suo nuovo motto, spesso ripetuto ai giocatori ora è: “Pasa-repasa-chuta, marca e desmarca”. C’è stata quindi un’evoluzione verso un calcio di controllo del gioco e del territorio.
In quei due anni mette a referto due campionati portoghesi e due coppe dei campioni nel 1960/61 e nel 1961/62, fermando il dominio del Real Madrid, che aveva vinto le prime cinque edizioni della coppa. È proprio in questi anni che lancia “La Pantera Nera” Eusebio, che aveva fatto arrivare dall’Africa su segnalazione di un suo ex compagno di squadra, scippando quindi il giocatore allo Sporting.
Mentre la coppa del 60/61 è vinta contro il Barcellona di Suárez, sarà quella dell’anno successivo la più complicata da vincere. In finale c’è il grande Real Madrid di Puskas, suo ex giocatore. Il primo tempo si chiude per 3-1 in favore dei madridisti. Con una frase all’intervallo Guttmann sprona i suoi a credere nella rimonta:
«La partita è vinta. Loro sono morti».
La partita finisce 5 a 3 per il Benfica, con doppietta finale di Eusebio. Allenatore e squadra entrano nella leggenda, per aver vinto la seconda coppa consecutiva e aver ribaltato il Real.
La maledizione
Qui iniziano però i malumori. Nell’anno della seconda Coppa dei Campioni, Guttmann e il Benfica si qualificano terzi in campionato. In una conferenza stampa, stuzzicato dai giornalisti, dirà: «Il Benfica non ha il culo per sedersi su due sedie».
Come da accordi, l’allenatore magiaro si aspettava un premio in denaro dalla società per i risultati raggiunti, un premio che però non arriva mai. Nacquero quindi frizioni con la società, che si susseguirono a incomprensioni durante il viaggio per la Coppa Intercontinentale, persa contro il Peñarol. Si arrivò quindi ad un clamoroso divorzio. Clamoroso perché seguì un’impresa importantissima che ancora oggi viene ricordata. Ed è in quel momento che Guttmann pronunciò la frase: “Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà per due volte (consecutive) campione d’Europa e senza di me il Benfica non vincerà mai una Coppa dei Campioni».
Si dice che prima di andare in Uruguay ad allenare il Peñarol, aggiunse: «La terza stagione è quasi sempre mortale per un allenatore», frase che negli ultimi anni abbiamo sentito pronunciare da Josè Mourinho.
Da lì la carriera di Guttmann e la storia del Benfica sono cambiate. Guttman non riuscirà più a vincere niente. Il Benfica in ambito europeo collezionerà una serie di delusioni, nonostante il raggiungimento dei 37 scudetti portoghesi. Vanno ricordate infatti le 5 finali perse in Champions League, di cui tre solo negli anni Sessanta, iniziati con la doppietta di Guttmann. Ci sono poi le tre finali perse di Europa League, di cui due negli anni recenti, 2013 e 2014.
Neanche lo stesso Guttmann, tornato al Benfica già nella stagione 1965/66, riuscirà ad aggirare la sua maledizione, perdendo ai quarti di finale contro il Manchester United. Curiosa da ricordare è in particolare la finale di Champions del 1990, quando a Vienna il Benfica gioca contro il Milan. L’ormai ex giocatore Eusebio fece visita alla tomba del suo ex allenatore, dove depose un mazzo di fiori per spezzare l’anatema. Un gesto che purtroppo non ebbe nessun effetto.
Dopo anni possiamo dare per conclusa la prima parte della maledizione, con la vittoria della seconda Champions League da parte del Porto di José Mourinho. La seconda parte però, quella che riguarda il Benfica, sembra essere ormai diventata realtà; una voce che risuona nelle menti dei calciatori lusitani ad ogni inizio di stagione europea. Anche in questo 2022/2023, una squadra che nei gironi aveva fatto vedere un calcio propositivo e interessante, mettendo in difficoltà corazzate come Juventus e Paris Saint Germain, è caduta poi senza quasi giocare nei quarti contro l’Inter di Simone Inzaghi.
Una maledizione che quindi continua a persistere, lanciata da un allenatore decisamente fuori dall’ordinario, l’uomo dei motti e delle sentenze che rimangono. Un uomo che resterà per sempre nella storia del Benfica, per averla prima portata in paradiso e dopo condannata all’inferno.
Foto copertina – I capitani Màrio Coluna e Armando Picchi si salutano prima di Inter-Benfica, finale della Coppa dei Campioni 1964-1965, primo atto della maledizione di Béla Guttmann. (Foto da “La nostra Serie A negli anni 70“, in pubblico dominio)