100 volte Foggia

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Foto copertina – letteremeridiane.org

Raccontare i 100 anni di una società come il Foggia significa ripensare a grandi momenti e grandi delusioni. Significa il 3-2 alla Grande Inter di Helenio Herrera, significa il gol di Rivaldo – il paraguaiano, non il brasiliano – che spezza il sogno della promozione in B al 90′ abbondantemente scaduto. Significa la rimonta esaltante contro il Parma di Zola e Asprilla, significa la papera del portiere Mauro Bacchin che regala a Di Canio il gol che vale la Coppa Uefa nella sfida decisiva con il Napoli.

Significa però soprattutto percorrere un filo che lega la squadra alla città, un filo che nel corso degli anni è sempre rimasto ben saldo. Non è un caso unico al mondo, intendiamoci; né il rapporto è sempre stato amorevole. Però certamente tra Foggia e il Foggia c’è una sovrapposizione che raramente si può vedere in altre zone. Come se dalle sorti della squadra di calcio dipendessero quelle dell’intera comunità, come se la categoria in cui milita la squadra indichi anche quella della città. Qui siamo oltre il vivere con trasporto il tifo. C’è qualcosa tra il capoluogo dauno e i Satanelli di speciale, di intimo, di profondo. Un legame che non si spezza neanche se le cose della vita portano il foggiano da un’altra parte a cercare fortuna. Anzi, se possibile quel legame diventa ancora più forte perché il Foggia diventa il modo più semplice ed emotivo per ribadire che la terra natia è quella, che quei colori rappresentano l’anima del foggiano più di mille altri simboli. Non deve quindi stupire l’enorme affluenza di tifosi che hanno accompagnato la squadra nelle trasferte al Nord nei due recenti campionati di Serie B; in alcuni stadi c’era realmente una maggioranza di tifosi ospiti che a quel punto ospiti non erano più.

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goal.com

Se il Foggia è l’anima della città e una religione con i suoi riti collettivi, i giocatori ne sono i custodi e sacerdoti. Non sono mancati, ovviamente, episodi di contestazione sfociati anche in atti di pura delinquenza con giocatori che sono andati via spinti da pressioni fuori luogo. Ma la maggioranza di coloro che hanno vestito quella maglia dei foggiani ne parla solo un gran bene. Qualcuno ha pure deciso di viverci in città, appese le scarpe al chiodo; gli altri a Foggia tornano sempre volentieri accolti come se fossero ancora in attività, come se calpestassero ancora il terreno di gioco del Tempio meglio conosciuto come Stadio Pino Zaccheria. Tre episodi su tutti chiariscono l’idea.

Nevio Scala, che con il Foggia ha giocato dal 1976 al 1979, racconta che sua moglie, tedesca, non era affatto contenta di lasciare Milano dove il marito giocava e trasferirsi in Puglia. Le sembrava un viaggio al buio, in una terra lontana e sconosciuta, verso la quale i pregiudizi erano fortissimi. Tre anni dopo la famiglia Scala tornò in Lombardia, visto che Nevio era stato ceduto al Monza, ma la signora Janny lasciò Foggia tra le lacrime perché si era sentita pienamente a suo agio, coccolata dai foggiani che la trattarono come una regina.

scala vegliani

Nevio Scala, centrocampista del Foggia dal 1976 al 1979, ospite di Overtime Festival 2019 insieme a Stefano Vegliani

Maurizio Iorio aveva 17 anni quando fu acquistato dal Foggia nel 1976. Per andare all’allenamento prendeva la corriera che lo lasciava ad un paio di chilometri dallo stadio e doveva percorrere quel tragitto a piedi. Durante la camminata era avvolto dall’affetto dei tifosi che lo abbracciavano, lo incitavano e gli offrivano da mangiare.

Roberto Carannante, campano di nascita e che in rossonero ha giocato a fine carriera, quando fu accostato alla panchina della squadra scrisse su Facebook: “Foggia non è solo la città dove sono stato tre anni splendidi, vincendo e facendo il capitano; è anima, passione, esaltazione, gratificazione, insomma è il mio cuore”.

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Zdenek Zeman, l’artefice della “Zemanlandia” che stregò il calcio italiano dal 1989 al 1994 (super6sport.it)

Nella stagione interrotta per la pandemia, il club rinato dopo l’ennesimo fallimento ha avuto ampio sostegno allo stadio. Perché può sparire un marchio, può sparire una denominazione sociale ma non può sparire una tifoseria, a Foggia come altrove. A Foggia più di altrove. Lo spirito del tifoso rossonero è ben rappresentato da Francesco Malgieri, meglio noto come Nonno Ciccio, classe 1930 per l’anagrafe, probabilmente qualche anno in più sul groppone e comunque una vita intera a seguire il Foggia in casa e in trasferta. A Michelangelo Borrillo del Corriere della Sera che gli ha chiesto cosa ne pensava della sua squadra in quarta serie, Nonno Ciccio ha confidato: “Io non mi arrendo mai, ho fatto per una vita il contadino e anche questa mattina sono stato nei campi, ho fatto la guerra e sono stato fatto prigioniero in Libia e portato in Scozia: vuole che mi spaventi per una Serie D?”

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Una delle ultime versioni del “Foggia dei miracoli” di Zeman, che il 20 febbraio 1994 riuscì a rimontare i gol di Zola e Asprilla e a battere il Parma allo “Zaccheria”. L’allenatore ospite? Nevio Scala (foggiareporter.it)

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