Lo speaker della manifestazione che appena prima di superare la linea del traguardo di Panama City Beach, in Florida, gli urla con entusiasmo «You are an Ironman», tu sei un Ironman. E poi, dopo l’arrivo, l’abbraccio istintivo, affettuoso, liberatorio con il proprio allenatore guida, maestro ed amico. Sono queste le ultime, emozionanti istantanee dell’impresa di Chris Nikic, il primo triatleta con la sindrome di Down a portare a termine un Ironman. 16 ore, 46 minuti e 9 secondi passate a nuotare, pedalare, correre. Per completare la gara più affascinante e massacrante che il World Triathlon abbia inventato: 3,86 km a nuoto, 180,260 km in bicicletta e 42,195 km di corsa, l’equivalente di una maratona. Distanze e tempi di percorrenza da capogiro, che mettono i brividi solo a pensarci, ad immaginarli. Ma che non hanno spaventato Chris.
Ventun anni, statunitense, ha dimostrato grinta da vendere e attaccamento alla vita fin dalla sua infanzia. Un delicatissimo intervento chirurgico a cuore aperto a soli cinque mesi, l’incapacità di camminare fino a quattro anni, la difficoltà a mangiare e deglutire cibi solidi. Prove durissime, affrontate con coraggio e determinazione. Da lui e dai suoi genitori, Nik e Patty, desiderosi di garantirgli una vita con gioie e soddisfazioni, combattivi contro gli immancabili pregiudizi della gente.
La svolta per Chris arriva a sedici anni: si appassiona moltissimo allo sport e inizia a praticarlo grazie alla Special Olympics, l’associazione che si occupa di gioco e sport per chi ha disabilità intellettiva e relazionale. Lo sport prescelto è il triathlon, quello che più lo intriga e diverte. Inizia a frullargli in testa anche l’idea di partecipare alle competizioni. Deve combattere per costruire un tono muscolare accettabile, per sopperire alla innata mancanza di equilibrio. Deve combattere soprattutto contro lo scetticismo delle persone, contro chi non crede in lui, cui risponde sempre così, come un mantra: «You cannot tell what I can do and what I can’t do», tu non puoi dirmi cosa posso o non posso fare. E per ribadire il concetto, scrive la frase anche su una grande lavagna, in cui appunta tutti i suoi desideri ed obiettivi.
È costretto ad interrompere gli allenamenti per una serie di interventi all’orecchio, ma nemmeno questa ennesima, imprevista difficoltà lo ferma. Riprende l’attività sportiva, partecipa a sei triathlon sprint. Ma non gli basta, non si accontenta, ambisce a traguardi più ambiziosi, vuole diventare un Ironman. Un anno di durissimo allenamento fino a scrivere la storia, a completare il 7 novembre 2020 la lunghissima gara in Florida nonostante una fastidiosa e pericolosa caduta durante la frazione in bicicletta.
L’impresa di Chris ci insegna tante cose. Innanzitutto a inseguire i nostri sogni, a non arrenderci di fronte alle difficoltà che puntuali ed inevitabili compaiono lungo le nostre strade. I traguardi, i risultati, non si raggiungono all’istante né con facilità ma con passione, tenacia, disciplina, tanto sudore. Accompagnati e sospinti da quell’etica cui noi di Overtime abbiamo dedicato un Festival. Un’organizzazione del lavoro quella di Chris semplice e schematica, ma incredibilmente puntuale, con l’imperativo di migliorare almeno dell’1% ogni giorno per 365 giorni all’anno. Step by step, passo dopo passo. Ogni allenamento una piccola conquista in più. Una costanza che gli ha permesso di coniugare al meglio le sedute di preparazione – in media 30 ore settimanali -, i tanti impegni pubblici e lo studio, aiutandolo anche a migliorare le proprie attitudini cognitive.
Questa storia ci offre uno spiraglio di ottimismo e speranza. Chris, come abbiamo visto, ha incontrato tanti ostacoli ma anche persone che lo hanno aiutato, quelli che lui chiama “angeli”. Una squadra che l’ha incoraggiato, supportato e preparato, a partire dall’allenatore Daniel Grieb. Questo mondo di oggi, tanto vituperato, certamente pieno di ingiustizie e iniquità, sotto alcuni aspetti è anche migliorato, divenuto più solidale, più attento a tematiche quali l’integrazione e l’inclusione. Molto difficilmente Chris avrebbe potuto realizzare la sua impresa qualche decennio fa. Quando molti ragazzi con la sindrome di Down – per fortuna non tutti, ovviamente – stavano solo in casa. Magari circondati dall’affetto dei propri cari, ma pur sempre in casa. E non per vergogna, ma per paura. Per il timore di mandarli fuori dalle mura domestiche ad affrontare i tempestosi marosi della vita in una società non disposta o perlomeno non pronta ad accoglierli, a proteggerli. Recentemente si sono aperte nuove frontiere, nuove possibilità. Grazie alla scuola, grazie a una mutata sensibilità, grazie soprattutto allo sport. Sono ad esempio nate attività sportive come il baskin, pensate per permettere a giovani normodotati e giovani disabili di giocare nella stessa squadra. Il baskin, basket inclusivo, garantisce la partecipazione attiva di giocatori con qualsiasi tipo di disabilità fisica e/o mentale che consenta il tiro in un canestro. Si mette così in discussione ogni rigida struttura e questa proposta, nata tra i banchi di scuola, diventa un fantastico laboratorio di società.
Ovviamente la strada è ancora lunga, i problemi non mancano, ne siamo assolutamente convinti. Ed è per questo che ogni bracciata, ogni pedalata, ogni falcata di Chris è una picconata ai residuali muri di pregiudizio, di inciviltà, di insensibilità ancora esistenti. Quel traguardo non è una vittoria solo per lui ma per tutte quelle famiglie che tra tante difficoltà credono nella possibilità di vivere una vita fatta di inclusione e normalità.
A ogni occasione utile occorre ribadire che lo sport è una risorsa, uno strumento eccezionale per abbattere divisioni, per superare ostacoli e barriere, per evitare emarginazioni di ogni tipo. Questa non è retorica. È realtà. Lo sport, al pari della musica e di tutte le arti, non può e non deve essere considerato “attività non essenziale”. Soprattutto in questa delicata fase storica. E’ una battaglia in primo luogo culturale. Che noi amanti dello sport, soprattutto dello sport di base, affrontiamo col sorriso. E con la forza dell’esempio di atleti come Chris Nikic.
Foto copertina – twistedsifter.com