Razzo is back

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Tenacia, tecnica, classe, desiderio ardente di continuare a competere ad alti livelli nonostante gli anni che passano inesorabili, gli acciacchi fisici che lo hanno sempre accompagnato e mai risparmiato. Questi sono solo alcuni degli ingredienti della grande impresa sportiva realizzata da Giuliano Razzoli. Un campione dello sci che, dopo sei lunghi anni di lotta, resistenza ed astinenza, è tornato sul podio di Coppa del Mondo, conquistando il terzo posto nello slalom speciale di Wengen. Un risultato eccezionale, inseguito e inatteso, centrato in rimonta, dopo il nono posto della prima manche, proprio sulla stessa pista che nel 2016 gli aveva regalato l’ultima grande gioia in Coppa, un secondo posto.

Sono servite tutta la sua grinta, l’esperienza e l’acume tattico per domare un tracciato insidioso e selettivo che ha mietuto numerose vittime illustri in uno degli slalom più imprevedibili e folli di sempre, vinto dal giovane fenomeno norvegese Lucas Braathen, che dopo aver concluso la prima discesa addirittura in ventinovesima posizione ha conquistato con una rimonta ai limiti della fantascienza una vittoria che resterà negli annali di questo sport.

Evidente, trattenuta a stento, la commozione a fine gara di Razzoli, che all’età di 37 anni e 29 giorni si è tolto l’enorme soddisfazione di risultare l’atleta più anziano nella storia dello sci alpino a conquistare un podio in uno slalom di Coppa del Mondo. Un traguardo che riempie di orgoglio e testimonia la serietà, la caparbietà di questo ragazzo che, cresciuto a Villa Minozzo – provincia di Reggio Emilia -, non si è mai arreso agli infortuni, alla mancanza di feeling con i nuovi materiali, ai risultati che nonostante tanti sacrifici non arrivavano più.

Razzoli con il pettorale numero 69 a Madonna di Campiglio. (Giuliano Razzoli, Atleta on Facebook)

E difficile solo poter immaginare come deve essersi sentito ad uscire dal gruppo dei migliori trenta, quanta frustrazione deve aver provato nel 2018 a partire dal cancelletto di Madonna di Campiglio con il pettorale numero 69 questo campione che nel 2010 aveva raggiunto il cielo con un dito, conquistando a Vancouver un oro olimpico che aveva in qualche modo salvato in extremis una spedizione italiana fino a quel momento avarissima di podi e soddisfazioni.

Quel lontano 27 febbraio 2010, sulla Whistler Creekside e una neve artificiale resa marcia, quasi liquida, dalle alte temperature, Giuliano compi un vero e proprio capolavoro, confermando nella seconda manche la prima posizione conquistata nella prima frazione, lasciando alle sue spalle il croato Kostelić, lo svedese Myhrer e tutti gli altri più abili slalomisti dell’epoca. Fu la strepitosa affermazione di un outsider, di un giovane campione proveniente da una famiglia tutt’altro che ricca che aveva investito tempo, risorse, tanto entusiasmo su di lui, accudendolo e proteggendolo. Fu anche l’ennesima “rivincita” sulle Alpi degli Appennini, capaci già in passato di generare glorie dello sci come Zeno Colò e Alberto Tomba.

Dopo il successo a cinque cerchi iniziarono a fioccare i paragoni proprio con l’Albertone nazionale, per la comune provenienza emiliana, per il carattere solare e la simpatia innata, per l’esuberanza fisica con cui affrontava le prove cronometrate. Ma con essi arrivarono inesorabili anche le pressioni e aspettative alte, troppo alte. No, Razzoli non riuscì a restare e confermarsi ai vertici della sua disciplina con continuità, non diventò mai il nuovo Tomba. E’ stato frenato dalla discontinuità, da infortuni gravi, da quel mal di schiena che lo tormenta dall’età di 17 anni, quando non riusciva nemmeno a stare seduto a scuola e in macchina era costretto a viaggiare sdraiato per i forti dolori.

Razzoli negli anni si è sempre più allontanato suo malgrado dall’élite del suo sport, non riuscendo ad ottenere quei successi per i quali continuava comunque a sudare e allenarsi. In tanti si sarebbero ritirati, dedicati ad altro, sopraffatti dal dubbio, dalla paura, dall’ossessione di non poter mai più raggiungere i livelli e la competitività precedenti. Capita a tanti sportivi, ma lui non ha mollato, non si è mai rassegnato all’idea di un ineluttabile declino sportivo, sospinto da quello sconfinato amore per lo sci e per l’agonismo più forte e intenso di tante delusioni. Stagione dopo stagione, è stato capace di convivere sempre meglio con i pesanti e duraturi postumi degli infortuni, si è ricostruito una solidità e una carriera, senza exploit clamorosi, con tanta pazienza. Credendo ancora nei suoi mezzi, nonostante lo scetticismo generale e di molti addetti ai lavori.

I frutti di tanto lavoro, di una convinzione mai venuta meno, sono stati raccolti soprattutto in quest’ultima stagione, in cui ha maggiormente brillato per continuità, conquistando in tutti e quattro gli slalom speciali finora disputati un piazzamento nei primi dieci, migliorando sempre nella seconda frazione la posizione ottenuta nella prima. “Razzo is back” è solito scrivere lui stesso sui social, celebrando le buone prestazioni di cui riesce a rendersi artefice di volta in volta.

Ma si sa, l’appetito vien mangiando e dietro l’angolo c’è l’appuntamento olimpico in Cina: Razzoli ha già dimostrato di sapere come affrontare un’Olimpiade da protagonista, non avrà alcuna pressione, nulla da perdere, i favoriti accompagnati da tutto il loro fardello di tensione sono ben altri. Chissà che non stabilisca qualche nuovo entusiasmante primato, regalandosi e regalandoci qualche altra bella sorpresa, l’ennesima soddisfazione di una carriera così unica, particolare e longeva.

 

Foto copertina – Giuliano Razzoli portato in trionfo dai suoi compagni di squadra dopo il terzo posto di Wengen. (Giuliano Razzoli, Atleta on Facebook)

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