L’ultimo combattimento di Navid Afkari

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Con i suoi riti e i suoi simboli, le Olimpiadi sono veicolo di fratellanza e unione tra i popoli. Nell’antica Grecia durante i giochi le guerre venivano sospese da una tregua. Il CIO stesso – Comité International Olympique -, massimo organismo sportivo mondiale, portatore di valori etici e morali, ha abbattuto barriere e fermato conflitti. Ha permesso il dialogo tra Paesi rivali. Da sempre ha avuto la capacità e la forza di intervenire su questioni di politica internazionale e sociale. Universalmente ascoltato. O quasi.

Nella storia che racconto oggi, invece, il mondo dello sport ha perso. Forse una delle sconfitte più amare. Perché quella di oggi è una di quelle storie che non vorremmo leggere mai. Senza lieto fine. In cui viene da gridare «non è giusto!».

Tutto comincia a cavallo tra il 2017 e il 2018. In Iran. Migliaia di persone scendono in piazza per ribellarsi contro la crisi economica. La popolazione è schiacciata dal caro prezzi, dalla disoccupazione giovanile. A preoccupare le sanzioni scattate dopo la firma dei nuovi accordi sul nucleare. Per le strade di Teheran, Mashhad, Arak, Kermanshah, Doroud, Izeh le squadre antisommossa intervengono in maniera brutale sui manifestanti che avanzano al grido di «morte al dittatore, morte a Rouhani!».

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Il presidente iraniano Hassan Rouhani durante un evento elettorale a Teheran, il 13 maggio 2017. (AP Photo/Ebrahim Noroozi/ilpost.it)

Photo/Ebrahim Noroozi/ilpost.it)

Centinaia gli arresti. Decine i morti in strada. L’autorità dichiara che ad aprire il fuoco contro i manifestanti non sarebbero stati poliziotti ma uomini in borghese. I social network vengono oscurati in tutto il Paese.

Simbolo di lotta di quei giorni diventa – suo malgrado – Navid Afkari. Classe 1993. È un atleta che pratica la lotta libera e la lotta greco-romana. Disciplina in Italia poco nota e poco praticata, ma molto popolare e con una lunga storia in Iran. Ha nel suo palmarès la partecipazione a campionati nazionali e a competizioni internazionali nelle categorie 69 kg e 71 kg. Non un atleta del calibro del nostro Vincenzo Maenza, ma un buon atleta.

Anche Navid partecipa alle manifestazioni antigovernative del 2018 con i fratelli Vahid e Habib. Scende in piazza nella sua Shiraz, la grande città nel sud-ovest del Paese. Terra di poeti e letterati.

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La città di Shiraz. (mescalinablog.com)

Il 17 settembre 2018 il lottatore viene arrestato con l’accusa di aver accoltellato a morte Hasan Torkman, una guardia di sicurezza dipendente della compagnia idrica e fognaria di Shiraz, la National Water and Water Waste Management Company. Secondo alcune indiscrezioni la vittima era un membro delle milizie Basij, nonché dei servizi segreti. In cella finiscono anche Vahid Afkari, sempre il 17 settembre 2018, e Habib Afkari, tre mesi dopo. Le organizzazioni per i diritti umani parlano immediatamente di accuse infondate, motivate solo da persecuzione politica.

Molti in effetti gli elementi poco chiari.

Torkman è stato assassinato la notte del primo agosto 2018, in procinto di tornare a casa dopo il lavoro. Secondo Ali Younesi, avvocato della famiglia Afkari, non ci sono testimonianze attendibili che possano provare la colpevolezza del suo assistito. La polizia investigativa criminale iraniana ha per le mani solo le riprese a circuito chiuso di una strada vicino a dove Torkman è stato ritrovato morto. Il filmato è di circa 60 minuti della morte dell’agente e mostra Afkari mentre cammina, alle prese con il suo cellulare. Non con un coltello.

La polizia investigativa ha inoltre utilizzato le deposizioni di alcuni testimoni. Deposizioni successivamente ritirate. Un testimone ha ammesso infatti di aver parlato dietro pressioni, un altro di non avere un ricordo chiaro dell’accaduto. Un terzo di non aver mai visto Navid prima dell’udienza in tribunale.

Ma la corte continua a ritenere Afkari responsabile. Anche senza prove. Anche senza indizi.

Navid Afkari. (english.alarabiya.net)

Navid confessa però. E la sua confessione – come di consueto avviene in Iran nel caso di crimini di natura politica – viene trasmessa dalla televisione di stato iraniana (IRIB) nell’ora di punta, alle ore 20.30, del 5 settembre 2019.

Poco importa se pochi giorni dopo, il 13 settembre 2019, l’atleta ritira quella sua confessione denunciando le torture subite durante l’interrogatorio, spiegando nel dettaglio come quella confessione gli fosse stata estorta, raccontando le percosse con un bastone alle gambe, alle mani e all’addome, il soffocamento controllato con sacchetti di plastica sulla testa e alcool nel naso.

E di queste torture invece il testimone oculare c’è. Shaahin Naaseri è infatti nel dipartimento di polizia di Shiraz quando Afkari viene interrogato e nella sua relazione ammette di aver visto agenti picchiare con manganelli e tubi metallici, di aver sentito le urla e le suppliche di Navid. Ma soprattutto, ammette di aver sentito e visto uomini in borghese – e non in divisa – chiesto a Navid di firmare quella dichiarazione di colpevolezza.

Ma Naaseri ritratta e poi scompare misteriosamente.

È sempre più evidente che si vuole procedere in un’unica direzione. Che si vuole punire Navid Afkari. Perché è una figura pubblica. Perché è inaccettabile per il governo che un uomo di fama nazionale possa scendere in piazza contro la dittatura. Occorre dare l’esempio.

La tesi è condivisa da Hadi Ghaemi, direttore esecutivo del Centro per i diritti umani in Iran (CHRI) che dichiara: «Le autorità iraniane stanno usando sempre più condanne a morte per terrorizzare la popolazione e farla rimanere in silenzio e porre fine a qualsiasi ulteriore partecipazione a proteste pacifiche».

La bandiera dell’Iran. (Joe Klamar/AFP/tg24.sky.it)

L’accusa del tribunale, presieduto dal giudice Mehrdad Tahmtan, non lascia scampo. Vahid e Habib sono condannati rispettivamente a 54 e 27 anni di carcere. Per entrambi anche la pena della fustigazione con 74 frustate. Per Navid, oltre alle frustate, anche la condanna a morte. Anzi, doppia condanna a morte. Per “inimicizia verso Dio” (“moharebed” è il crimine regolarmente contestato contro i manifestanti), e per la legge Qiṣāṣ. “Qiṣāṣ” è il termine islamico per indicare una legge di ritorsione, una sorta di “occhio per occhio, dente per dente”. La dottrina islamica prevede una punizione analoga al crimine. E così, la regola è che il colpevole di omicidio o lesioni personali intenzionali venga messo a disposizione della persona offesa o dei suoi eredi, anche se la famiglia della vittima può, previa autorizzazione del tribunale, decidere che vengano inflitte pene o condanne minori.

Lo sdegno per l’imminente esecuzione è unanime in mezzo mondo. Anche lo sport si mobilita esprimendo solidarietà nei confronti di Afkari. L’associazione sportiva internazionale Global Athlete chiede sanzioni sportive per l’Iran: chiede al CIO e alla World Wrestling Federation di vietare all’Iran di partecipare alle prossime competizioni sportive. Il CIO, pur dichiarando di rispettare la sovranità della Repubblica islamica dell’Iran, chiede la sospensione della pena di morte di Afkari. Intervengono anche diversi lottatori olimpici tra cui il tre volte campione del mondo Frank Stäbler e la campionessa mondiale Aline Rotter Focken. Sui social viene lanciata la campagna “Save Navid Afkari”.

Seguono la condanna universale del regime, dichiarazioni di rappresentanti dell’Unione Europea, di Amnesty International, di associazioni per la tutela e la difesa dei diritti umani. Addirittura di Reza Pahlavi, l’ultimo principe ereditario dell’Iran.

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International Organisation to Preserve Human Rights supporta la campagna “Save Navid Afkari”.

Ma niente da fare. La sentenza viene confermata dalla Corte Suprema del Paese. Il 25 aprile 2020 diviene definitiva.

E come un fulmine a ciel sereno arriva la notizia che non avremmo mai voluto apprendere. Navid Afkari il 12 settembre 2020 nella prigione di Adel-Abad a Shiraz è stato giustiziato. Una pena di morte applicata con sorprendente rapidità.

Nessuna comunicazione di ciò che sarebbe successo in quella data, nessun permesso di incontrare il condannato prima dell’esecuzione per i familiari di Navid che, quando ricevono la notizia della sua morte, stavano per incontrare la famiglia di Torkman. Aveva accettato di abbandonare la richiesta di Qiṣāṣ, permettendo quindi di salvare Afkari.

L’esecuzione, per impiccagione, inoltre è avvenuta nel mese di Muharram, mese sacro del calendario islamico, particolarmente sentito nel mondo sciita. Mese durante il quale le esecuzioni non hanno mai avuto luogo, in quanto per la sharia è proibito uccidere.

Ma secondo alcune testimonianze, sul corpo di Navid c’erano evidenti segni di colluttazione. Faccia deformata e naso fratturato. Traumi incompatibili con una morte per impiccagione. Tutto lascia pensare a una morte violenta avvenuta in carcere a causa di torture. Altre. Ancora. Forse un decesso accidentale. Secondo gli avvocati i funzionari del carcere hanno preferito comunicare una morte per impiccagione per evitare una rabbia pubblica ancora maggiore.

Ai membri della famiglia è stato permesso vedere solo il viso di Afkari, ma non il corpo. Il telo con il quale è stato trasportato alla sepoltura era macchiato di sangue dall’interno. La sepoltura si è tenuta, sotto una stretta sorveglianza, la notte successiva a Sangar, una città nella provincia meridionale di Fars in Iran. Senza parenti.

«Se vengo giustiziato, voglio che tu sappia che una persona innocente, anche se ha cercato e combattuto con tutte le sue forze per essere ascoltata, è stata giustiziata».

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Alcuni manifestanti chiedono giustizia per Navid Afkari. (insider.com)

«Questo giovane ha cercato disperatamente aiuto in tribunale per ricevere un processo equo e dimostrare la sua innocenza. Le registrazioni vocali trapelate di lui in tribunale rivelano come le sue suppliche ai giudici di indagare sulle sue denunce di tortura e portare un altro detenuto che aveva assistito alla sua tortura a testimoniare sono state illegalmente e crudelmente ignorate» ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa.

Una storia che si conclude tragicamente. Non è la prima volta. Non sarà l’ultima purtroppo.

In un rapporto pubblicato nel giugno di quest’anno, la Federazione internazionale per i diritti umani (FIDH) e l’organizzazione “Giustizia per l’Iran”, con sede a Londra, hanno infatti affermato che i media statali iraniani hanno trasmesso più di 355 confessioni forzate negli ultimi dieci anni. I funzionari iraniani respingono ovviamente tali accuse. Secondo il rapporto annuale della Coalizione mondiale contro la pena di morte, almeno 280 persone sono state giustiziate in Iran nel 2019, con cifre probabilmente più alte. Si tratta del secondo tasso di esecuzioni più alto al mondo.

Il presidente del CIO, Thomas Bach. (repubblica.it)

Dopo l’esecuzione di Navid, il CIO ha dichiarato di essere «scioccato» dalla notizia ricordando che il presidente Thomas Bach ha personalmente fatto appelli al Leader Supremo e Presidente dell’Iran chiedendo la grazia per Afkari.  In molti hanno proposto nelle ultime settimane di bandire l’Iran dai prossimi giochi olimpici. Tra i maggiori sostenitori l’australiano Brendan Schwab, direttore esecutivo della World Players Association, la realtà svizzera che rappresenta decine di migliaia di atleti professionisti in tutto il mondo.

Vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi.

 

Foto copertina – Una donna stringe un ritratto del lottatore iraniano Navid Afkari durante una dimostrazione in Piazza Dam ad Amsterdam, Paesi Bassi. (skysports.com)

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