Maxime Mbandà, il rugbista Cavaliere

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Foto copertina – parma.repubblica.it

Sei uno dei rugbisti più forti d’Italia. Giochi nelle Zebre, la franchigia bianconera con sede a Parma che partecipa al campionato celtico Guinness PRO14 insieme alle migliori formazioni di Galles, Irlanda, Scozia, Sudafrica ed Italia. Nel 2019 hai partecipato a un Mondiale in Giappone con la maglia azzurra della Nazionale. Durante il lockdown potresti cercare di preservare a casa una condizione fisica almeno dignitosa. Magari postando qualche video dei tuoi allenamenti casalinghi per i tuoi followers, aspettando tempi migliori. E invece no. Tu che giochi terza linea decidi di immergerti nella battaglia contro il virus in prima di linea, di indossare ogni giorno la tuta protettiva che assomiglia tanto a uno scafandro, di mettere la tua salute a rischio per gli altri. Di salire su un’ambulanza e prestare servizio come soccorritore volontario per l’Associazione Seirs Croce Gialla di Parma durante l’emergenza Coranavirus, in una terra particolarmente colpita e segnata da questa tragedia.

È la storia di Mata Maxime Esuite Mbandà, il giocatore di rugby recentemente nominato Cavaliere della Repubblica al Merito dal Presidente Sergio Mattarella per la sua attività di volontario, unico sportivo ad essere insignito di questo riconoscimento in questa occasione.

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Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo scorso 2 giugno, mentre rende omaggio a medici e infermieri nel cortile dell’ospedale Spallanzani di Roma (abbanews.eu)

Mbandà è nato a Roma 27 anni fa da genitori di due culture diverse: mamma della provincia di Benevento e padre giunto in Italia con una borsa di studio dalla Repubblica Democratica del Congo e laureatosi alla Sapienza in Medicina e Chirurgia.
Cresciuto rugbisticamente a Milano, prima di approdare alle Zebre ha vinto con Calvisano due Scudetti consecutivi e un Trofeo Eccellenza. L’educazione dei genitori, i valori e il rispetto tipici del rugby hanno formato il carattere e la personalità di Mbamdà. E lo hanno sicuramente aiutato a fargli mantenere sangue freddo e a non reagire con la violenza quando nei mesi scorsi è stato purtroppo vittima di un episodio razzista. Durante un alterco per futili motivi automobilistici, gli sono state rivolte queste assurde parole: «Va’ via negro di m…., tornatene al tuo paese». Un episodio grave, denunciato sui social, che lo ha sicuramente ferito e che ha voluto rendere pubblico per sensibilizzare l’opinione pubblica. Un episodio in seguito al quale ha ricevuto tantissima solidarietà che lo ha commosso. E che di certo non ha scalfito il grande amore per il suo paese, l’Italia.

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Maxime Mbandà in azione con la maglia delle Zebre (parmadaily.it)

Un amore che, scoppiata l’emergenza sanitaria, ha voluto dimostrare non più solo da flanker sui campi di gioco, ma mettendosi al servizio della comunità, in un momento di bisogno collettivo. Un’esperienza forte, drammatica, che ti cambia e segna la vita. Che ha raccontato così su Instagram: «Sono stati i 70 giorni più impegnativi della mia vita, ho trasportato più di 100 pazienti, fatto turni massacranti dove pranzavo alla sera, perché non potevo togliermi quella tuta per non rischiare di contagiarmi finché non venivo sanificato. Durante il periodo più intenso ho pianto la sera, sfogandomi per quello che vedevo durante il giorno e a cui non ero abituato, non riuscivo a prendere sonno la notte nonostante fossi distrutto e mi sono ritrovato anche a svegliarmi alle 3 del mattino tutto bagnato per poi scoprire che mi ero fatto la pipi addosso». Unico rammarico, quello di aver prestato servizio solo ora e non prima. «Rifarei tutto dall’inizio. Anzi, ho ammesso più volte in questo periodo di essermi pentito di non aver iniziato prima e consiglierò d’ora in poi a chiunque di provare a svolgere dei servizi di volontariato e di cercare di percepire le emozioni che lascia, che sono imparagonabili con qualsiasi altra esperienza».

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thesun.co.uk

Chi vi scrive, se gli venisse chiesto “qual è il ricordo di questo lockdown che porterai per sempre con te?”, risponderebbe senza esitazione e come tanti altri “il silenzio assordante rotto solo dal suono continuo e straziante delle ambulanze, di giorno, di pomeriggio, nel cuore della notte”. Ebbene in quelle ambulanze c’erano tante donne e uomini che hanno messo a disposizione degli altri la loro umanità, senza alcun tornaconto economico, per puro volontariato. Che sapevano in quei giorni di andare a soccorrere persone affette dal virus. E l’hanno fatto allo stesso tempo con coraggio e un sano timore. Prendendo decisioni importanti. Confortando i malati durante le attese interminabili davanti ai Pronto Soccorso ingolfati e strapieni all’inverosimile. Giù il cappello di fronte a queste migliaia di Cavalieri. A queste migliaia di Maxime Mbandà.

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