59 gradini e Duemila Parole. Le rivoluzioni di Enriqueta Basilio e Věra Čáslavská

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věra caslavská

Siamo partiti dalle Olimpiadi per raccontare le donne nello sport, perché è da qui che ha avuto inizio la loro storia sportiva, la battaglia per i diritti, la volontà di dimostrare di non essere seconde a nessuno. E così, naturalmente, molti episodi che raccontano le imprese femminili in questo settore nascono da varie edizioni dei Giochi olimpici.

Per quanto riguarda quelli di Città del Messico del 1968, ad esempio, ci sono un paio di cose da raccontare. Il 12 ottobre, incredibilmente, nel corso della cerimonia d’apertura dei Giochi allo stadio universitario, l’ultimo tedoforo, ovvero l’atleta che accende il fuoco olimpico, fu una donna, Enriqueta Basilio, campionessa nazionale ventenne degli 80 ostacoli. Un traguardo pari a quello di una gara quello raggiunto dalla messicana, che venne avvertita all’ultimo e perciò si presentò senza l’abito giusto, ma in semplici pantaloncini e t-shirt. Poco importa l’outfit, Enriqueta fu la prima ragazza a cui venne permesso di salire i 59 gradini che portavano al braciere.

enriqueta basilio

In t-shirt e pantaloncini, Enriqueta Basilio sale la scalinata del braciere olimpico. (rep.repubblica.it)

Ma a Città del Messico, tra le competizioni e i podi, accadde anche altro: Věra Čáslavská, ginnasta nata nel 1942 a Praga, nota ancora oggi per aver vinto in poco più di undici anni di carriera undici medaglie olimpiche – tra cui sette ori – più dieci medaglie provenienti da Campionati mondiali e tredici europei  numeri pazzeschi insomma – l’unica ginnasta tra uomini e donne ad aver vinto l’oro olimpico in ogni specialità individuale, fece qualcosa che andava al di là dello sport, qualcosa che  guardava alla sua integrità, alla sua dignità.

Durante le premiazioni, mentre era sul podio a condividere la medaglia per il corpo libero con Lansa Petrik – le due vinsero a pari merito – manifestò la sua opinione politica distogliendo ostentatamente lo sguardo durante l’esecuzione dell’inno sovietico.

vera caslavska

La libellula cecoslovacca in azione. (movemagazine.it)

Věra appoggiava dichiaratamente il partito democratico cecoslovacco contro l’occupazione sovietica avvenuta proprio nel 1968 poco prima delle Olimpiadi. Se già come donna aveva conquistato tanto e raggiunto vittorie impensabili nello sport, con quel gesto divenne paladina per molti, anche se questo le portò non pochi problemi una volta tornata in patria, dove preferì lavorare come domestica rinunciando alla carriera pur di non rendersi “complice” dell’invasione da parte dei russi. Il regime glielo chiese più volte, ma lei rifiutò, e a differenza di suoi colleghi atleti come Raska e Zatopek non tolse mai la sua firma sotto la petizione “Duemila Parole”, documento della Primavera di Praga nato per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle pressioni sovietiche volte a fermare le riforme in atto in Cecoslovacchia.

La vita di Věra andò avanti costellata di impegni sociali e politici in cui credeva e certo non fu facile, ma la sua personalità era evidentemente arrivata anche dallo sport e dalla cultura sportiva. Sacrifici e integrità raccontano i campioni, e le campionesse.

 

Foto copertina – Věra Čáslavská mostra le medaglie d’oro conquistate a Città del Messico ’68. (bbc.co.uk)

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