Che coss’è l’amor

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«Stavamo per terra, in ginocchio, chini sugli album, fra mucchietti di carta scollata e tappeti di figurine, sembravamo dei musulmani all’ora della preghiera. Non ci muovevamo mai e poi mai dagli ingressi degli stabili, quel tratto fra il portone e le guardiole dei portieri, perché le madri ci potessero chiamare a voce per la tromba delle scale».

 

Lettura consigliata degustando “Pentima” (Cantina Ribelà)

Le storie d’amore piacciono. Perché ci permettono di immaginare, sognare, immedesimarci con i protagonisti che “stiamo leggendo”. Personaggi e autori a cui ci affezioniamo e che non vogliamo abbandonare anche una volta terminata l’ultima pagina. Ci sono romanzi che entrano quindi di diritto nella storia. E nelle nostre librerie. Perché raccontano l’amore. Un sentimento bello che fa parte della natura umana. Perché la vita non inizia quando si nasce, la vita inizia nel momento in cui si comincia ad amare. È il sentimento che caratterizza “La gioia fa parecchio rumore” – non lo direste mai vedendo l’illustrazione di copertina di Andrea Serio -. Una dichiarazione di amore e di fedeltà incondizionata. Un amore ai tempi del Coronavirus diremmo oggi. Un amore ai tempi delle Figurine Panini appena diventate autoadesive direbbe Sandro Bonvissuto, cameriere e autore del libro. Un amore ai tempi dei giochi senza giocattoli, delle visite a casa tra parenti, delle partite che si disputavano la domenica. Tutto cominciava con il pranzo collettivo: frittata di pasta, vino bianco fresco – foglietta da mezzo o tuba da un litro -, pastarelle e Cannellino. Tutto finiva tra il pomeriggio e la sera di quell’unico giorno. Bisognava aspettare una settimana per giocare ancora. La radio Grundig oggetto sacro con cui espiare i peccati. 90° minuto per rivivere le emozioni o le delusioni. La schedina del Totocalcio – ricordate? Si diceva 1X2 – per sperare in un futuro più sereno. Quando al bar non ci passavi e basta, ci andavi per restare. Era una seconda casa in cui si giocava a flipper e Microguida Conti, si beveva lo Sportino Borghetti e si leggevano quotidiani sportivi. Sognando di vincere come il Nottingham Forest!

bonvissuto

La vita si trasforma per il sopraggiungere dell’amore. Non è solo un passare da un senza a un con, ma da un prima a un dopo. Quando diciamo sì all’amore, quella è l’ultima risposta data con un cuore da bambini. E la prima cosa che Bonvissuto ha amato, come l’ultima, d’altronde, è la sua squadra di calcio del cuore: il suo nome è A.S. Roma.

Un amore che nasce tra le mura domestiche. Al fianco di mamma e papà. Persone umili e resistenti, come chiunque sia stato sinceramente povero. Di chi si mette la camicia stirata o il rossetto e la collana per andare ad acquistare il divano nuovo. Perché il divano è una cosa importante.

Con i Bonvissuto non bastava proclamarsi romanista a voce. La maglia giallorossa al posto del pigiama, la sciarpa di lana anche con la calura d’agosto. Le figurine – solo quelle della Roma – attaccate nell’album. Il calendario delle partite sempre in tasca, come un santino, un tatuaggio sulla pelle. A sancire cosa si può fare e cosa non si può fare la domenica. Perché prima c’è la Roma.

bonvissuto

Sandro Bonvissuto. (mobmagazine.it)

La Roma non può rimanere mai da sola. Soprattutto quando le cose vanno male – i Giallorossi negli anni descritti nel libro erano stabilmente nella colonna di destra della classifica -. Perché il dolore per le sorti della squadra del cuore è come le pene d’amore.

Un rapporto con la propria amata che si dipana in aneddoti, storie di vita e partite di campionato. Bellissima la scelta di non nominare le squadre e i calciatori. Come se tutto fosse una favola. Un inno universale al tifo e al calcio, che potremmo leggere con gli occhi di qualsiasi casacca.

Sono gli anni del nuovo centro sportivo fra la via provinciale Laurentina e la strada statale Pontina, della salvezza in extremis contro l’Atalanta con Valcareggi in panchina – 2-2 dopo essere stati in svantaggio -, gli anni della fondazione del “Commando”. Era il 9 gennaio 1977 quando in Roma-Sampdoria per la prima volta tanti piccoli gruppi di tifosi smisero di esistere singolarmente e si riunirono in un’unica grande entità. Ma sono anche gli anni della violenza negli stadi, dell’assurda morte di Vincenzo Paparelli. Era il 28 ottobre 1979 quando allo stadio Olimpico il 33enne tifoso della Lazio perdeva la vita colpito da un razzo, poco prima del derby Roma-Lazio. Perché anche l’amore ha un nemico: il fanatismo. Un vero e proprio delirio originato dall’adorazione.

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Lo striscione del Commando Ultrà in Curva Sud. (forzaroma.info)

E poi la Coppa Italia 1979-1980, vinta dalla Roma sul Torino ai calci di rigore. La speranza di poter vincere qualcosa di importante. Speranza che si rafforza con la riapertura delle frontiere del calcio italiano agli stranieri (non più di uno per squadra). Il cuore verso il Brasile, lo sguardo a quella maglia in vetrina. Sola e muta. Guardata, osservata, desiderata. In quel “Sto arrivando” c’era tutto il futuro. La storia, che passa anche attraverso decisioni difficili: saper apprezzare il nuovo logo della squadra – il Lupo stilizzato sostituisce la Lupa Capitolina -, stabilire la data di nascita della società, creare la propria bandiera. Giallo oro e rosso pompeiano? Giallo ocra e rosso porpora?

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La maglia numero cinque di Falcao in esposizione. (theenvoy.eu)

Lo straniero giusto arriva pochi giorni dopo la strage alla stazione di Bologna. L’aeroporto si riempie di desideri. Per vedere un giocatore che nessuno conosceva e che nessuno avrebbe riconosciuto se se lo fosse trovato davanti, epoca distante da quella dei social di oggi. Ombrelloni, tavole imbandite, racchettoni. Il desiderio di voler amare, di celebrare quel numero 5.

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10 agosto 1980. Quaranta anni fa Paulo Roberto Falcao arrivava a Roma. (laroma24.it)

Barabba aveva sempre una definizione per tutto. Anche per il numero 5. Lo definisce numero primo, somma dei primi due numeri primi, figura del Pentalfa dei Pitagorici, pentagramma di Venere, simbolo privilegiato della convivenza di nature corporee e incorporee.

Ma Barabba chi? Barabba è una figura ricorrente nelle 200 pagine del libro. Un maestro senza alunni. Un pastore senza gregge e senza padroni. Barabba era un “tipo” completamente dimenticato, con un terreno che scendeva verso i binari e un’Ape 50 di un colore impossibile da spiegare. Barabba era un uomo senza casa. Forse senza patria. Stava antipatico a tutti. Con un fazzoletto rosso attorno al collo e sempre gli stessi stivali di gomma.

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Carl Zeiss Jena vince in Turingia 4-0 con la Roma in Coppa delle Coppe 1980/81. (il romanista.eu)

Ma è l’amore la vera costante. Una felicità perpetuata nel guardare la Roma giocare. Una passione che trascina fino al ritiro di Brunico, chiedendo in prestito l’Alfetta 1600 del pizzicarolo – le rosette con le fettine alla pizzaiola meriterebbero un articolo a parte -. Un amore che fa rima con dolore. Perché in campo uno solo vince. Gli altri sono destinati a perdere. Alle volte anche in maniera clamorosa. Tra tutte l’eliminazione in Coppa delle Coppe – che bello quando c’era – contro il Carl Zeiss Jena: 3-0 in casa per la Roma. 4-0 per gli avversari a Jena, in Turingia, all’epoca Germania dell’Est. Un amore che ti porta a tifare contro la Nazionale Italiana perché gioca contro la squadra del tuo straniero del cuore – su questo Bonvissuto, però, non ti posso difendere!!! -.

Bruno Conti, Nils Liedholm e Paulo Roberto Falcao in una foto del 1982. (blastingnews.com)

Ma non è che si ama ciò che si aspetta, si aspetta ciò che si ama. Fino a raggiungere quella parola magica appresa sull’Enciclopedia, quel vocabolo che comincia per “Sc…”. Sudato per una vita. Conquistato ammirando quell’esultanza esagerata e solitaria che tutti abbiamo visto fare solo a quel numero “5”: salto col braccio in alto e il pugno chiuso. Una cavalcata inarrestabile: Pisa – stupenda la trasferta a base di mandarini tardivi -, Udinese, Firenze, Catanzaro, Milano contro l’Inter, Avellino e infine Genova. Roma 43 – Juve 39. Sfilata in casa con il Toro.

Roma è un tripudio di bandiere e colori. Un cerchio che si chiude. Anzi no.

30 maggio 1981. 29ª edizione di Coppa dei Campioni allo Stadio Olimpico. Roma-Liverpool. 70 000 spettatori. Coreografia della Curva Sud: “NON PASSA LO STRANIERO”.

Ci sarebbe stata l’eclissi anulare di sole alle 16.43.

LA GIOIA FA PARECCHIO RUMORE

di Sandro Bonvissuto

EINAUDI – 200 pagine

Euro 18,50

La citazione da ricordare

«La sciarpa è personale. La bandiera è collettiva. La sciarpa dice agli altri chi sono io, la bandiera dice a noi stessi chi siamo. La sciarpa svela ciò che normalmente non si sa di un uomo perché quell’uomo, indossandola, vuole si sappia. La sciarpa distingue, individua, completa. La bandiera raduna gli uguali, si muove, è una cosa viva. Se esci di casa con la sciarpa ti sei vestito bene, se esci di casa con la bandiera provvedi anche all’eleganza degli altri».

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