Addio Carter, uragano della boxe

Addio Carter, uragano della boxe

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L’uragano se ne va, ma il cielo non è completamente sereno, poiché ingiustizia è stata fatta. Rubin “Hurricane” Carter è morto a settantasei anni, diciannove dei quali passati in prigione per un reato mai commesso.

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carter3Rubin aveva già conosciuto l’onta del riformatorio e del carcere quando decise di intraprendere la carriera pugilistica. Era il 1961 e il suo fisico possente rientrava a fatica nella categoria dei pesi medi. Categoria che per cinque anni lo ha visto tra i protagonisti della boxe mondiale, in particolar modo dopo il celebre incontro vinto per ko tecnico contro l’immenso Emile Griffith. Nel corso della sfida, riuscì a mettere al tappeto l’avversario per ben due volte nello stesso round e l’impresa gli fece guadagnare l’attenzione del grande pubblico del circuito. Hurricane si segnalò anche per il record di 27 vittorie, 12 sconfitte ed un pareggio in una striscia di 40 incontri. Numeri di una carriera sportiva destinata a brillare, se non si fosse scontrata con la dura legge non scritta del New Jersey di metà anni ’60.

carter6E’ la notte del 17 giugno 1966 al “Lafayette Bar and Grill” di Paterson. Ed anche la fine della vita sportiva di Hurricane. Due uomini di colore entrano e sparano sugli avventori inermi del locale, uccidendo due persone sul colpo e condannandone una terza che finirà i suoi giorni qualche tempo dopo tra atroci sofferenze. In seguito alla mattanza, gli assassini si dileguano su un’auto bianca, del tutto simile a quella in possesso di Rubin Carter. Hurricane, che si trovava dall’altra parte della città, viene condannato, insieme con il suo amico John Artis, a due ergastoli per omicidio volontario. Una giuria composta da soli uomini bianchi, le testimonianze a sfavore di due delinquenti conclamati e un vissuto turbolento da pregiudicato: ingredienti sufficienti per l’attribuzione di un’ingiusta condanna.

processo-hurricane

carter10_denzelSolo in seguito ad un altro processo e al ricorso alla Corte Federale, il pugile statunitense riuscì a far valere i propri diritti. Il giudice della Corte sentenziò l’iniquità dei processi, svoltisi, a suo dire, sulla base di condizionamenti razziali. Cadute le accuse, Hurricane fu di nuovo un uomo libero. Anche se solo nel 1985. Diciannove lunghissimi anni in una cella a causa delle testimonianze, poi ritrattate, di alcuni criminali e di una giuria accecata dalla discriminazione del colore della pelle. Una storia che fa rabbrividire. E che racchiude una così ampia gamma di tematiche sociali, da catturare l’attenzione di musicisti e registi cinematografici. Famosissima la canzone “Hurricane” di Bob Dylan dedicata alla vicenda. Consigliatissimo “Il grido dell’innocenza”, lungometraggio interpretato da Denzel Washington e basato sull’autobiografia di Carter (“The Sixteenth Round”).

 

Bob-Dylan-Rubin-Carter

Durante la prigionia, Hurricane ebbe a dire che avevano soltanto ingabbiato il suo corpo, ma non la sua mente. Oggi che anche la sua anima è libera, speriamo che possa trovare quella tranquillità mai raggiunta in vita. Siamo sicuri che, così, otterrà anche la giustizia che merita.

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